Ci siamo. Il sipario è caduto. Non stiamo più parlando di una distopia ipotetica o di scenari futuristici da romanzo cyberpunk: l’apocalisse del lavoro cognitivo è stata formalmente annunciata da chi ci lavora dentro, non da uno youtuber in cerca di click.
Sholto Douglas, non l’ultimo arrivato ma uno che ha fatto la spola tra DeepMind e Anthropic, lo dice chiaro: anche se da oggi l’Intelligenza Artificiale smettesse di evolversi, anche se l’AGI rimanesse un sogno bagnato nei laboratori di OpenAI e Meta, le tecnologie esistenti sono già in grado di automatizzare TUTTI i lavori da colletto bianco entro cinque anni. Hai letto bene: già ora, non nel 2040, non con l’AGI. Ora.
Non serve l’onnisciente Skynet per decimare il knowledge work. Basta ChatGPT con un po’ di plugin, Claude con la memoria lunga e un paio di API cucite bene.
“Lascia che affondi”, dice Douglas. E dovrebbe farlo, come un chiodo arrugginito nel cervello.
La parola chiave è “già”. Non “potrebbe”. Non “un giorno”. È uno statement definitivo. E viene da chi ha le mani nella marmellata, non da un teorico sulla torre d’avorio. Questo non è un paper accademico, è una confessione in diretta podcast. Un’epifania collettiva travestita da chiacchierata tecnica.
Siamo in quella strana fase storica in cui chi ha costruito il fuoco sta dicendo agli uomini delle caverne: “Ragazzi, questo non è un bastone che brilla. È una bomba termonucleare, e voi ci state ancora cucinando sopra il cinghiale.”
Ma andiamo con ordine, o almeno fingiamo di farlo.
Il lavoro intellettuale è una farsa ripetitiva. La maggior parte dei knowledge worker – avvocati, copywriter, analisti, customer support, middle manager con feticismo per i PowerPoint – non fa creatività, fa replicazione codificata. E dove c’è replicazione, c’è automatizzazione. È la base dell’industria, dalla catena di montaggio in poi.
Il problema è che ora la catena di montaggio è nel cloud, e il capo turno è una LLM con temperature settate su 0.7 e una retention memory migliore della tua.
Claude 3, GPT-4.5, Gemini 1.5… non sono strumenti di supporto. Sono sostituti mascherati da assistenti. Ti fanno ancora credere che sei tu al volante, ma il volante è scollegato da anni.
Quando Douglas dice “automatizzare tutti i white collar jobs” non intende dire “far sparire gli umani”. Intende dire che l’umano diventa ridondante. Che l’umano rimane “per sicurezza”, come la leva del freno a mano nei SUV elettrici. Lavoro placebo. Occupazione cosmetica. Un po’ come quando le banche lasciano un cassiere umano accanto all’ATM per rassicurare i boomer.
Siamo entrati nell’era dell’automatizzazione preventiva: sistemi che sanno già fare il lavoro prima che il management abbia il coraggio di ammetterlo.
Il paradosso è che siamo ancora prigionieri di contratti, sindacati, processi legacy, barriere culturali. Ma questi sono solo delay strutturali, non freni reali. Sono i rimasugli dell’inerzia sociale. Una burocrazia vestita da prudenza.
Nel frattempo, le aziende che oggi sono piccole e agili si stanno costruendo intorno al modello LLM-native: zero middle management, zero team di customer care, zero human bottlenecks. Solo prompt, API, flussi asincroni e orchestratori. Non hanno bisogno di convincere il board che l’AI è efficace. Non hanno un board.
Il knowledge work è diventato un protocollo, non più una professione. E i protocolli si automatizzano. Non è questione di opinione, è algebra.
Naturalmente, chi ha qualcosa da perdere fa il finto tonto. Gli HR parlano ancora di “upskilling” e “umanesimo digitale”, come se bastasse un corso su Coursera per battere Claude. È la stessa reazione che avevano i cocchieri di fronte alla Ford T. “Ma la carrozza ha più fascino”.
L’ironia, tragica, è che molte delle persone che oggi predicano cautela erano entusiaste dei primi Excel, dei CRM, dell’offshoring. Hanno ottimizzato i processi fino al punto in cui non servono più persone. E ora implorano lentezza, per “valutare le implicazioni etiche”.
Douglas non sta predicendo il futuro. Sta descrivendo il presente con cinque anni d’anticipo. E noi, come sempre, facciamo finta che sia ancora una previsione, così possiamo restare nella zona di comfort della negazione.
La narrativa AGI è diventata una distrazione utile. Un diversivo che ci permette di ignorare la realtà dell’AI Narrow, ma sufficientemente potente da uccidere le nostre skill attuali. Siamo come i dinosauri che guardano il cielo aspettando un meteorite, mentre le termiti mangiano le fondamenta.
Sholto Douglas ha fatto quello che pochi ingegneri osano fare: ha parlato chiaro. Ha tolto il velo. Ma tranquilli, non sarà ascoltato. Perché l’unica cosa più potente dell’AI, oggi, è il bias cognitivo della classe media istruita.
Ecco la vera “scary prediction”: non l’estinzione dei knowledge worker, ma il fatto che loro stessi applaudiranno l’orchestra mentre la nave affonda.
“Il lavoro nobilita l’uomo, ma l’AI gli toglie il badge prima ancora che arrivi alla scrivania.”