Quando Google decide di fare sul serio, lo capisci subito: sparisce la retorica da campus universitario e arriva la macchina da guerra. Flow, l’ultima creatura di Google Labs, è l’annuncio più trasparente (e arrogante) mai fatto da Mountain View: vogliamo il cinema. Tutto. Subito. Senza passare per Cannes.
Sotto la facciata cool di una dashboard apparentemente amichevole, Flow è un’arma da regista automatizzato, un Frankenstein creativo messo insieme con pezzi di Veo 3, Imagen e Gemini, l’IA conversazionale che ora ti interpreta i desideri meglio di un amante tossico. È accessibile da oggi in 71 Paesi—non l’intero pianeta, ma abbastanza da far sembrare la distribuzione iniziale di ChatGPT un club privato.
Il marketing parla di storytelling, ma non fatevi fregare: qui c’è ben più di qualche generatore di scenette per TikTok. Flow è la prima piattaforma AI nativamente pensata per la grammatica del cinema, non per la viralità. Non è l’ennesima app di AI generativa da usare in pausa pranzo per impressionare un cliente. È l’equivalente cinematografico del Figma per designer o dell’Ableton Live per i musicisti elettronici. E ha la pretesa, nemmeno troppo nascosta, di diventare uno standard.
Tutto questo poggia su Veo 3, il motore neurale che Google descrive come “cinematic-first”, come se bastasse mettere insieme due buzzword per far dimenticare che fino a ieri parlavamo di VideoFX come di un giocattolo. Ma il salto è evidente. Ora l’AI non solo “genera” clip: le dirige, le costruisce in sequenze fluide, gestisce i movimenti di macchina, regola la luce, e con l’upgrade Ultra ci mette anche l’audio ambientale e i dialoghi. Ah, i dialoghi. Forse è l’unica cosa in cui l’intelligenza artificiale riesce a essere ancora più piatta di una sceneggiatura Marvel. Ma ci stanno lavorando.
Gemini è il collante: interpreta i prompt in linguaggio naturale e li trasforma in set virtuali pronti all’azione. Basta dire “una ripresa aerea alla Blade Runner su una città distopica all’alba” e Flow inizia a costruire, incrocia angolazioni, transizioni, profondità di campo. A quel punto non sei più uno storyteller, sei un supervisore creativo con una troupe composta da cluster di GPU.
Gli strumenti sono dannatamente professionali. Non c’è più il limite di 4 secondi, i controlli di camera sono modulari, puoi pianificare l’intera sequenza in continuità. Un concept artist che conosce Blender si troverà a casa, ma anche un creativo senza alcuna skill tecnica può spingersi molto oltre la zona “clip di 10 secondi con effetti neon e glitch”. E poi c’è Flow TV, l’hub dove osservare cosa stanno facendo gli altri registi digitali: una gallery in tempo reale che è insieme ispirazione, benchmarking e marketing virale incorporato.
Sì, è una piattaforma. Ma anche un nuovo media.
Qui non si sta parlando di un altro tool per creator. Flow è l’evoluzione industriale della narrazione visiva. E Google lo sa. Non a caso ha separato le funzionalità in due piani: AI Pro per i giocatori di serie A, Ultra per chi vuole dominare il mercato con IA e surround. Lo stack creativo si sta riscrivendo davanti ai nostri occhi: dal text-to-image si è passati al text-to-scene, e ora è text-to-movie. La scrittura visiva diventa sintassi ingegneristica, il prompt diventa storyboard, e il regista si trasforma in product manager dell’immaginario.
Una provocazione? Forse. Ma i segnali sono chiari: l’industria non sta resistendo, sta già incorporando. Le agenzie stanno addestrando team per produrre contenuti interamente via AI. Le case di produzione stanno testando sequenze per i pitch. E Hollywood? Si barcamena tra scioperi e intelligenze artificiali non accreditate.
A margine, Flow è anche un colpo pesante alla “democratizzazione” dell’AI. Non è gratuito, non è open, non è per tutti. È un tool per chi può pagare. Un messaggio chiaro: il futuro non sarà distribuito in modo equo, sarà venduto in pacchetti con sottoscrizione mensile. Ma hey, almeno puoi girarti il tuo corto distopico con audio 3D mentre aspetti che i veri produttori si sveglino.
Una curiosità: nelle prime demo interne, pare che alcuni utenti abbiano ricreato intere scene di film cult in pochi minuti. Non si tratta solo di fan video. Si tratta di nostalgia computazionale, di ri-scrittura cinematografica automatizzata. Non solo remake: rianimazione algoritmica del nostro immaginario collettivo.
Per chi ha ancora in testa il romanticismo del regista con sciarpa e pellicola 35mm, Flow suonerà come una bestemmia. Per chi fa business nei contenuti, è una miniera d’oro con il badge di Google in bella vista. Per chi invece ha paura che le IA si stiano prendendo anche la creatività… tranquilli: stanno solo automatizzando l’inevitabile.
E come diceva Godard: “Cinema is truth 24 times a second.”
Ora è codice. E neanche lo noti.