Dimentica il chatbot che ti diceva “Ciao, come posso aiutarti?” e poi crashava sul tuo ordine di report trimestrali. Dimentica anche il RPA che ti hanno venduto come rivoluzione e si è rivelato un macro Excel più caro e più permaloso. Il nuovo boss si chiama Agentic AI e no, non chiede permesso. Agisce. Impara. Ottimizza. Decide. In molti casi, ti risparmia anche la fatica di pensare.
La nuova ricerca di IBM lo urla (educatamente) nelle orecchie dei C-Level: o guidi questa nuova ondata, o ti ritrovi a bordo campo mentre i tuoi concorrenti giocano a Formula 1 con un copilota neurale.
Hai presente quei grafici statici che ti inviano ogni venerdì alle 17:02? Dimenticali. Il 90% degli executive intervistati crede che gli agenti AI sostituiranno i report con ottimizzazioni in tempo reale. Non è un sogno di fantascienza: è semplicemente un algoritmo che ha più KPI chiari di metà del middle management.
Il 75% di questi dirigenti si aspetta che gli agenti AI gestiscano autonomamente i flussi transazionali entro il 2027. Hai letto bene: “autonomamente”. Significa che approveranno, verificheranno, controlleranno e, se necessario, ti manderanno anche una mail con oggetto: “Fatto. E meglio di come lo avresti fatto tu.”
E l’85% prevede un futuro di operazioni touchless. Parola chiave: invisibilità operativa. Quella in cui l’AI non solo lavora al posto tuo, ma lo fa meglio, più velocemente, e senza la pausa caffè che, diciamolo, è l’unica cosa che ti impedisce di odiare del tutto il lunedì.
Ma attenzione: qui non si tratta di rimpiazzare l’umano. Si tratta di liberarlo. Sì, proprio tu, che pensavi che “empatia e strategia” fossero voci a margine del budget. L’AI agentica non vuole farti fuori. Vuole toglierti di dosso la spazzatura cognitiva, il rumore operativo, le approvazioni inutili, i task da criceto. In cambio? Vuole che tu usi il cervello. E l’ironia è che questo, per molti manager, è un upgrade più complesso di qualsiasi patch tecnologica.
Ogni funzione aziendale si prende la sua fetta di miracolo:
Nel Finance, ad esempio, il ciclo contabile dell’AP (Accounts Payable) diventa più veloce del 35%. Questo non significa solo pagare le fatture prima. Significa trattare i fornitori come partner, non come minacce legali.
Nel reparto HR, l’efficacia della formazione migliora del 30%. Tradotto: onboarding che non sembrano torture medievali in PowerPoint.
Nel ciclo order-to-cash? Un’accelerazione del 51%. Quando dici “trasformazione digitale”, questa è la velocità che i PowerPoint promettono da un decennio, ma che nessuno ha mai visto davvero.
Eppure, come ogni rivoluzione che si rispetti, anche questa ha la sua zavorra. Il 74% dei leader riconosce che la tecnologia corre più veloce delle competenze. L’evoluzione non è distribuita in modo equo. La verità? Hai il jet, ma nessuno in azienda ha ancora preso il brevetto di pilota.
L’82% ammette problemi gravi di integrazione di sistema. È il solito incubo: sistemi legacy che parlano COBOL, API che sembrano scritte da Lovecraft, processi che non sono mai stati pensati per essere “automatizzati” ma solo sopportati.
E allora ecco la lezione che IBM, con tono diplomatico e report in PDF da 68 pagine, cerca di sussurrare al CEO che ancora crede che basti comprare una piattaforma per dire “abbiamo fatto AI”. Gli strumenti non bastano. Quello che serve è talento, chiarezza, e, soprattutto, leadership. Quella vera. Non quella che confonde l’AI con un’altra buzzword da mettere nelle slide da mostrare agli investitori.
Una provocazione? Forse. Ma è una provocazione con i dati dalla sua parte.
L’AI agentica non ti sostituirà se sai cosa fare. Ma ti renderà obsoleto se il tuo unico valore è l’essere un intermediario tra Excel e PowerPoint.
E allora ti chiedo: stai usando l’intelligenza artificiale per muoverti più veloce, o per diventare migliore?
Perché, in fondo, la vera domanda non è se l’AI prenderà il tuo posto.
La vera domanda è: perché non l’ha già fatto?