Il browser è morto, viva l’agente: Opera Neon e l’illusione dell’automazione intelligente
In un’epoca in cui ogni browser si traveste da “assistente”, Opera gioca la carta più ardita: non lancia solo un nuovo browser, ma un agente. Non un compagno di navigazione, ma una creatura semi-autonoma che, nelle intenzioni, dovrebbe usare il web per noi, e non con noi. Il suo nome? Opera Neon, e già qui ci scappa un sorriso amaro: lo stesso nome fu usato da Opera nel 2017 per un esperimento vaporware durato meno di un aggiornamento di Windows. Ma nel 2025 tutto è AI, tutto è “agentico”, tutto è magicamente context-aware. E tutto, ovviamente, è a pagamento.
Questa volta il marketing parla chiaro (o almeno ci prova): Opera Neon è un browser “agentico” capace di comprendere richieste complesse, agire in autonomia e svolgere compiti articolati come scrivere codice, progettare interfacce, generare giochi o stilare report. Il tutto orchestrato da agenti cloud-based, presumibilmente alimentati da qualche API GPT-based, anche se l’azienda norvegese sorvola sui dettagli.
L’obiettivo? Rendere l’utente obsoleto, o per lo meno passivo. Tu chiedi, Neon fa. Tu dormi, Neon lavora. Tu sogni, Neon codifica. È l’internet come esperienza delegata, dove il browser non è più uno strumento, ma un servitore invisibile con iniziativa propria. L’utente smette di navigare, e comincia a commissionare.
Siamo nel regno del paradosso: il browser che smette di essere un’interfaccia e diventa un intermediario. Ma intermediario verso cosa, esattamente?
Il problema fondamentale non è tecnico. L’idea di “agentizzazione” del browsing è inevitabile, quasi naturale, nella curva evolutiva dell’AI generativa. Ma vendere questa idea come prodotto premium, ancora prima di dimostrare che funziona, è una mossa da prestigiatore in cerca d’applausi più che da innovatore. Finché Opera Neon resta una pagina di waitlist e qualche screenshot, il sospetto resta: sarà l’ennesima promessa non mantenuta in stile Web3?
Ciò che colpisce, più delle feature, è l’ambizione semantica. Opera non parla più di “funzioni”, ma di intenzioni. Neon non risponde, interpreta. Non suggerisce, agisce. Ma dietro questa nuova ontologia del software si cela il vecchio dilemma dell’automazione: quanto possiamo delegare senza perdere il controllo? Se il browser prende decisioni al posto nostro, anche piccole, chi definisce la soglia dell’autonomia accettabile?
Inutile girarci intorno: Neon entra a gamba tesa nel territorio che Microsoft e OpenAI stanno già arando con Copilot e Operator. Stesse promesse, stessi dubbi. Anche in Neon si potrà chattare con un’interfaccia per cercare contenuti, fare domande, estrarre informazioni dalla pagina corrente. Ma qui Opera rilancia con una vecchia conoscenza: il “Browser Operator”, l’agente capace di prenotare hotel, acquistare prodotti e compilare form – tutto da solo, localmente, in nome della privacy.
Peccato che il mercato abbia già bocciato molte di queste funzioni in passato. Gli utenti, anche quelli meno esperti, non si fidano di un browser che “fa le cose da solo”. La memoria storica delle estensioni che “automatizzavano lo shopping” o riempivano form senza criterio è ancora fresca. E la consapevolezza che il browser è il punto di accesso a dati sensibili – login, wallet, codici 2FA – non rende le persone più inclini a fidarsi di un agente autoattivo che promette di risparmiarci la fatica di cliccare.
Eppure, l’idea è seducente. Un browser che ti legge nella mente, anticipa le tue necessità, completa task mentre tu sei offline. Il sogno di ogni utente pigro, o il peggiore incubo di chi ancora crede nell’intenzionalità del gesto digitale.
Ma come ogni sogno venduto in anteprima, anche questo ha un prezzo. Letteralmente. Opera parla già di “premium subscription product”, il che significa che Neon sarà a pagamento. Un altro dettaglio che lascia perplessi: pagheremo per far lavorare un software al posto nostro, su una piattaforma – il web – che già ci bombarda di pubblicità, tracciamenti e contenuti ingannevoli? E l’agente Neon, quanto sarà capace di distinguere tra ciò che vogliamo davvero e ciò che vuole venderci il prossimo algoritmo?
Nessuna data ufficiale di lancio. Nessun prezzo. Nessuna demo pubblica. Solo parole, tante, confezionate con il lessico raffinato del marketing AI-first. Dovremmo fidarci?
In fondo, lo aveva già capito Douglas Adams: “Una delle cose più inutili che si possano fare è tentare di usare un browser AI per trovare la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.” Al massimo, Neon ci dirà che la risposta è 42 e ci aprirà un link ad Amazon per comprare un asciugamano.
Nel frattempo, restiamo in attesa del prossimo annuncio. Magari il prossimo browser Opera sarà un telepate. O un prete digitale. Chissà.
Per ora, Neon è un’idea, non una soluzione. E l’unico agente davvero attivo sembra essere il reparto marketing.