Cape Canaveral, settembre. Non c’erano né presidenti né first lady, ma mille piccoli azionisti, zaini a tema spaziale e sguardi al cielo come in una processione laica. Cinque satelliti. Cinque, non cinquemila. Lanciati da SpaceX, ma non per conto di Elon Musk. Ironico, no? Il razzo Falcon 9 ormai una navetta da routine per i nerd con budget trasportava i dispositivi di AST SpaceMobile, un’azienda che Musk ha etichettato con disprezzo regolatorio come “una meme stock”. Traduzione: roba da Redditari illusi e bag holders col cappellino di Dogecoin.
Eppure, quei cinque moduli dotati di antenne da 65 metri quadrati hanno fatto qualcosa che Starlink, con i suoi oltre 7.100 satelliti in orbita, ancora fatica a fare: connettere direttamente un telefono cellulare, senza parabole, senza stazioni fisse, senza gadget extra. Solo smartphone e cielo. Sembra poco, ma è il Graal dell’internet satellitare. Quello vero.
A guidare questa missione quasi donchisciottesca c’è Abel Avellan, fondatore e CEO di AST, un venezuelano che ha già venduto una società satellitare per mezzo miliardo e ora punta a colonizzare il mercato più ampio ma più trascurato del mondo: i 2,6 miliardi di esseri umani che oggi vivono tagliati fuori dalla rete.
Sì, perché mentre Starlink e Kuiper di Jeff Bezos si fanno la guerra nei cieli con migliaia di mini-satelliti giocattolo per vendere Wi-Fi ai SUV in Idaho, AST prova a fare il salto quantico: meno satelliti, molto più grandi, molta più intelligenza. E un’unica ossessione: il telefono. Il telefono come punto terminale della rete, non la parabola. Il telefono come interfaccia del futuro, non un accessorio connesso.
Ovvio che questo dà fastidio. Dà fastidio ai colossi delle telecomunicazioni, ai fabbricanti di torri radio, alle lobby delle frequenze, e soprattutto a Elon Musk, che si è visto scippare da sotto il naso un piccolo contratto governativo e, peggio ancora, l’attenzione di una community digitale che somiglia pericolosamente alla sua.
AST vuole arrivare a 90 satelliti entro il 2026. Non 12.000, come Starlink, ma 90. Con antenne da 223 metri quadrati che si aprono come origami nello spazio e puntano direttamente al tuo iPhone. Il risultato? Hanno già effettuato videochiamate con telefoni standard su reti come Vodafone, AT&T e Rakuten. Senza antenne esterne. Senza decoder. Solo cielo.
Certo, i costi non sono banali: ogni satellite AST costa 21 milioni di dollari contro gli 1,2 milioni di quelli di Starlink. Ma la durata è doppia, e la copertura per unità è talmente vasta da rendere inutile l’effetto sciame di SpaceX. La differenza è la stessa che passa tra installare una centrale eolica da 2 megawatt o piazzare mille mini pale sulle montagne. AST ha scelto la via ingegneristicamente più rischiosa ma più scalabile. E sta funzionando.
Ma AST non gioca da sola. Ha arruolato colossi come AT&T, Vodafone e Verizon come investitori e partner. Queste aziende, che possiedono le licenze sulle frequenze radio e il potere politico locale, sono le vere chiavi di volta. Perché AST ha capito una cosa banale che Starlink finge di ignorare: il mercato dei dati mobili non si conquista dallo spazio, si conquista a terra. Con alleanze. Con concessioni. Con spettro radio, cioè con ciò che nessun miliardario può lanciare da un razzo. Musk ha i soldi, ma Avellan ha il consenso.
La visione di AST è semplice nella sua brutalità: fornire connettività senza compromessi, in ogni luogo, in ogni momento, a chiunque. Un modello che può integrare le telco, non sostituirle. Un modello che taglia fuori le torri, non i loro proprietari. La vera rivoluzione? Farla insieme agli incumbent, non contro.
I numeri sono ancora tutti da costruire. Nel 2024, AST ha bruciato 300 milioni di dollari e incassato solo quattro. Ma anche Amazon ha perso soldi per anni. E mentre Starlink deve investire miliardi ogni anno solo per mantenere la sua costellazione, AST può scalare in modo quasi modulare, con una spesa capital-intensive molto più bassa e ritorni potenzialmente esponenziali. Deutsche Bank stima che l’azienda possa superare i 5 miliardi di ricavi entro il 2030. E questa, signori, non è più una meme stock. È un’opzione reale sull’accesso globale alla rete.
Ovviamente, SpaceX reagisce. Ha accusato AST di generare detriti spaziali, di interferire con l’astronomia, di occupare frequenze altrui. Una guerra fredda a colpi di pdf alla FCC. Nel frattempo, Musk stringe accordi con T-Mobile per inviare messaggi da satellite, una beta tecnica che serve più al marketing che alla rete. Per ora, funziona solo per i messaggi. Niente voce. Niente video. Il resto è vaporware.
Nel frattempo, AST ha coinvolto decine di migliaia di investitori retail. Reddit, ovviamente, pullula. Ma anche la narrativa è potente: internet universale, senza confini, senza barriere hardware. Un’idea quasi messianica, che fonde capitalismo e utopia. E che trasforma Avellan in una sorta di Jobs postmoderno dello spazio, con meno maglioni neri e più camere sterili.
Il parallelo che ha fatto AT&T è affascinante: Starlink è Betamax, AST è VHS. Il primo è arrivato per primo, con qualità superiore, ma fuori mercato. Il secondo ha vinto grazie alla compatibilità e all’economia di scala. La storia potrebbe ripetersi, a 36.000 km dalla superficie terrestre.
La differenza la faranno le regole. Se la FCC e le autorità globali accetteranno le licenze condivise tra telco e operatori satellitari, AST potrà usare frequenze oggi dormienti per erogare dati a velocità quasi 4G. E se questo accade, addio parabole. Addio stazioni a terra. Addio miliardi in fibra ottica.
Ma c’è un grande “se”: la politica. Musk ha stretti legami con l’amministrazione Trump, e in un contesto di neo-protezionismo spaziale, AST — con base in Texas ma cuore globale — potrebbe diventare un bersaglio. Il capitalismo delle frequenze è ancora una guerra tribale, e gli spazi si comprano più con gli avvocati che con le antenne.
Tuttavia, come diceva Oscar Wilde, “ogni volta che la gente è d’accordo con me, penso di avere torto”. E oggi, quasi nessuno è d’accordo con Avellan. Proprio per questo, potrebbe avere ragione.