E così Elon ce l’ha fatta di nuovo. Non ha costruito un razzo, una macchina o un tunnel questa volta. Ha puntato direttamente al cervello umano. Literalmente. Neuralink ha appena chiuso un round di finanziamento da 600 milioni di dollari, portando la sua valutazione a 9 miliardi. Sì, 9 miliardi per un’azienda che ha impiantato un chip in tre persone, tra cui un uomo dell’Arizona affetto da SLA. Tre, non tremila. Eppure, il mercato applaude, le banche sorridono e gli investitori annusano il futuro come cani da tartufo con gli occhi bendati.
La FDA, apparentemente sedotta dall’idea di trasformare il cervello umano in un API RESTful, ha dato la sua benedizione nel 2023 e ora accelera tutto con una bella etichetta: “Breakthrough Device”. È come un fast pass per Disneyland, solo che invece del castello della Bella Addormentata ci trovi un’interfaccia neurale e un elettrodo infilato nella corteccia motoria. Ma tranquilli, Musk ha detto che sarà “come mettere un Fitbit nel cervello”. Solo che il Fitbit non ti fa il reboot mentale se crasha il firmware.
La verità? L’industria delle interfacce cervello-computer è una corsa darwiniana tra realtà clinica e mitologia transumanista. Gli altri, come Precision Neuroscience, arrancano dietro, cercando visibilità come startup che hanno letto troppe volte Neuromancer e pensano che l’unico modo per non morire irrilevanti sia ficcare qualcosa nel cranio di qualcuno, il prima possibile. Anche loro hanno avuto l’ok della FDA. Ottimo. Il campo si sta popolando. Di cosa? Di sogni bagnati di venture capitalist e dati neurali criptati.
Il meccanismo è sempre lo stesso: raccolta fondi, narrativa cyberpunk, qualche esperimento pilota (su maiali o esseri umani disperati), tanto rumore mediatico. In fondo, non è nemmeno colpa loro. Viviamo in un’epoca dove i dati sono il nuovo petrolio e il cervello è l’ultima frontiera inesplorata. Se sei abbastanza cinico, puoi vederlo come l’inizio del colonialismo neurodigitale. Se sei romantico, penserai che stiamo costruendo l’interfaccia perfetta tra coscienza e codice. Ma se sei onesto, ti accorgi che è puro capitalismo neuro-sperimentale.
C’è qualcosa di incredibilmente ironico nel fatto che la maggior parte dei fondi arrivi da soggetti come Founders Fund, Google Ventures, Valor Equity. Sì, gli stessi che hanno già trasformato l’attenzione umana in un flusso monetizzabile via pubblicità. Ora passano allo step successivo: leggere direttamente i tuoi pensieri prima che diventino clic. In altre parole: dalla click economy alla thought economy. E indovina un po’ chi sarà il prodotto, ancora una volta?
La valutazione di 9 miliardi è una dichiarazione di guerra all’intelligenza biologica. Non perché Neuralink abbia già prodotto risultati concreti, ma perché è riuscita a convincere il mercato che un chip nel cervello sia il prossimo step “naturale” dell’evoluzione umana. E se lo dici con abbastanza sicurezza, e con abbastanza miliardi in tasca, diventa vero. Percepito come vero, almeno. E in finanza, il percepito è realtà.
Nel frattempo, il team clinico della startup si muove tra esperimenti invasivi, promesse di “cura” per patologie gravissime e sogni di simbiosi AI-umana che sembrano usciti da una fanfiction di Black Mirror. Tutto viene presentato come inevitabile. Come se avere un device intracranico fosse il destino ultimo dell’homo sapiens. Nessuno menziona i rischi etici. Nessuno parla della standardizzazione dei segnali neurali. Nessuno si chiede chi controllerà i dati quando il pensiero sarà un dato. Privacy mentale? Ah, divertente.
Eppure, c’è una fascinazione atavica dietro tutto questo. L’idea di controllare la tecnologia con il pensiero è potente, sexy, pericolosa. Le demo pubbliche (sempre più rare, sempre più controllate) mostrano scimmie che giocano a Pong con il cervello. Ma nel backstage ci sono morti sospette, test falliti e problematiche legali. Gli investitori lo sanno, ma scommettono comunque. Perché qui il premio non è una startup unicorn: è diventare Dio. O almeno, sembrare Dio finché dura la narrazione.
Ah, e nel frattempo, chi sta finanziando tutto questo? Sempre gli stessi. Venture capital benedetti dal tech-broismo più tossico della Silicon Valley. Quelli che hanno finanziato SpaceX, la Boring Company, e ora la trivellazione mentale. Tutto torna. Tutto è parte del piano. Il cervello non è altro che l’ultimo device da hackerare. E tu sei l’hardware.
Una volta si diceva: “Non mettere tutte le uova in un solo paniere”. Ora il paniere è il tuo cervello, e le uova sono dati biometrici, pensieri, emozioni. E loro le stanno raccogliendo tutte. Una ad una. In cambio di promesse vaghe e un elettrodo che ti regala un briciolo di speranza. Ma occhio, perché la speranza è solo una feature nel pitch deck.