Benvenuti nel capitalismo 3.0, dove gli affitti non li decidono più i padroni di casa, ma una riga di codice. E non un codice qualunque: quello di RealPage, la software house accusata di aver trasformato la legge della domanda e dell’offerta in una simulazione truccata. Il concetto chiave? Rent algorithm, condito da intelligenza artificiale e da una silenziosa collusione tra giganti immobiliari. Il tutto sotto l’occhio ammiccante di legislatori più interessati ai budget dei lobbisti che alle bollette dei cittadini.
E ora, a rincarare la dose, spunta una proposta che suona come uno scudo legislativo su misura: un emendamento infilato nel disegno di legge di riconciliazione di bilancio dei Repubblicani che, udite udite, vieterebbe agli Stati americani di regolamentare l’IA per i prossimi dieci anni. Dieci. Come dire: fatevi prendere per il collo da un algoritmo e zitti per un decennio. Perché? Perché i padroni del silicio vogliono il campo libero per “ottimizzare” leggi: automatizzare l’avidità.
Se pensi che tutto questo puzzi di oligopolio digitale, non sei solo. Cinque senatori Democratici Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Amy Klobuchar, Cory Booker e Tina Smith hanno preso carta e penna (o tastiera e PDF) per chiedere conto alla CEO di RealPage, Dana Jones, del ruolo della sua azienda in questa misteriosa lobby tecno-immobiliare. Vogliono sapere se RealPage ha messo mano — direttamente o tramite i suoi scagnozzi del National Multifamily Housing Council — alla stesura di quel provvedimento che, guarda caso, paralizzerebbe ogni tentativo di vietare i suoi software di pricing automatizzato.
Per chi si fosse perso le puntate precedenti: nel 2022 ProPublica ha sganciato una bomba. Un’inchiesta rivelava come l’algoritmo di RealPage funzionasse in pratica da cartello digitale. Decine, centinaia di landlord che, invece di farsi concorrenza, caricavano i dati nel sistema, seguivano pedissequamente le “raccomandazioni” e magicamente… gli affitti salivano all’unisono. Una simmetria sospetta, un sincronismo inquietante. Il Dipartimento di Giustizia e otto Stati USA hanno poi fatto causa a RealPage per violazione delle leggi antitrust. E nel frattempo, città come Minneapolis, San Francisco, Philadelphia e altri hanno iniziato a vietare l’uso di simili software.
Ed ecco la contromossa: se non puoi fermare le leggi locali, bloccale tutte in una volta a livello federale. Una moratoria di dieci anni su qualsiasi regolamentazione che tocchi l’IA, spacciata per innovazione, ma cucita addosso agli interessi di chi sull’algoritmo ci ha costruito un impero.
Secondo il rapporto di The Lever, il NMHC — braccio politico delle grandi società immobiliari e rappresentante diretto di RealPage — ha raddoppiato la sua spesa in lobbying, passando da 4,8 milioni nel 2020 a 9 milioni nel 2024. E nei documenti depositati a Capitol Hill si legge chiaro: hanno fatto pressing su “temi riguardanti l’intelligenza artificiale, la gestione dei dati, le politiche federali sulla tecnologia usata nell’immobiliare”.
La domanda sorge spontanea, cinica e brutale: ci troviamo davanti all’esempio perfetto di come l’IA venga usata per istituzionalizzare la disuguaglianza?
Certo, si parla tanto di bias algoritmico, ma qui siamo oltre. Qui si tratta di sfruttare il software non per essere efficienti, ma per essere coordinatamente rapaci. E il fatto che si voglia ora rendere tutto ciò immune da qualsiasi forma di regolamentazione statale, la dice lunga sul vero significato di “disruption”: non un’innovazione che migliora la vita delle persone, ma una tecnologia che spezza ogni tentativo di regola, di trasparenza, di equità.
C’è qualcosa di vagamente orwelliano in questo quadro: l’algoritmo non è più un supporto, ma un arbitro occulto. E se provi a chiedere trasparenza, ti rispondono con una moratoria decennale. In nome del progresso, ovviamente. Come se proteggere un meccanismo che setta i prezzi a tavolino potesse essere paragonato all’open source, all’AI generativa o a qualsiasi altra forma di innovazione reale.
“Le leggi sono come le ragnatele: i poveri vi restano impigliati, i ricchi le spezzano con un dito” scriveva Balzac. Ma oggi la ragnatela è fatta di codice, e gli affitti salgono mentre tu aspetti l’approvazione del tuo mutuo.
Nel frattempo, i grandi nomi dell’IA – e qui spunta anche OpenAI – sembrano a loro agio nel sostenere l’idea di una regolamentazione centralizzata, a patto che sia lontana, astratta, burocratizzata. Meglio una supervisione federale lenta e compromessa, piuttosto che una mano statale attiva che si intrometta nei meccanismi di pricing e nella gestione dei dati.
Insomma: dietro la parola “innovazione” si nasconde l’ennesima operazione chirurgica sul corpo già martoriato del libero mercato. E se gli Stati americani, in pieno diritto costituzionale, vogliono regolamentare l’uso delle tecnologie che impattano milioni di cittadini, qualcuno risponde con una moratoria che suona come una bavaglio, un reset coatto della democrazia locale.
Il rischio è chiaro: rendere la tecnologia non uno strumento per riequilibrare il potere, ma un’arma per cristallizzarlo nelle mani di pochi. E la beffa è che tutto questo accade nel nome di un futuro digitale inclusivo, agile, flessibile. Mentre nella realtà, ti ritrovi con un contratto d’affitto generato da un algoritmo che sa quanto sei disperato prima ancora che tu apra bocca.
E allora viene da chiedersi: l’IA è davvero neutra? O è semplicemente il nuovo volto della vecchia ingordigia, travestita da efficienza?
Nel frattempo, RealPage tace. Ma gli affitti parlano. E urlano.