Chi pensa che l’AI moderna si limiti al prompt engineering o alla messa a punto di modelli preaddestrati è fermo al livello “giocattolo”. L’AI vera, quella che finisce in produzione, quella che deve scalare, performare, rispondere in millisecondi, aggiornarsi, ragionare, non si improvvisa. Va progettata come un’infrastruttura industriale: multilivello, interdipendente, e ovviamente fragile come il castello di carte più caro che tu possa immaginare.

Serve una visione sistemica, un’architettura a sette strati. Non è teoria, è la differenza tra un POC da demo call e una piattaforma AI che regge milioni di utenti. O, come direbbe qualcuno più poetico: dalla speranza alla scalabilità. Andiamo a sezionare questo Frankenstein digitale con cinismo chirurgico.

Alla base c’è il layer fisico, dove l’AI è ancora schiava del silicio. Che siano GPU NVIDIA da migliaia di dollari, TPUs di Google usate a ore come taxi giapponesi, oppure edge devices low-power per far girare modelli ridotti sul campo, qui si parla di ferro e flussi elettrici. Nessuna “intelligenza” nasce senza una macchina che la macina. AWS, Azure, GCP? Sono solo supermercati di transistor.

Ma l’hardware da solo è un cadavere freddo se non ci metti sopra il secondo strato: quello dei data link, dove i modelli si mettono in scena. MLOps, orchestratori come LangChain o AutoGPT, API wrapper su FastAPI o TensorFlow Serving. È la parte del sistema che collega la carne alla mente: se salta questo, anche il miglior modello è una balena spiaggiata. Ma non si vede, non fa notizia. E quindi nessuno ci investe abbastanza. Grave errore.

Saliamo: livello computazionale. Qui siamo nel cuore della logica AI, l’execution layer che vive su framework come PyTorch, JAX, TensorFlow. Il modello ragiona, decide, calcola. In tempo reale, con accelerazione hardware, su cloud o su edge. E anche qui, ogni millisecondo conta. È il layer che decide se l’utente dice “wow” o “wtf”.

Poi arriva il knowledge layer, e qui si comincia a fare i conti con la verità. Perché i modelli LLM non sanno nulla. Letteralmente. Solo se connessi a sorgenti dinamiche – database vettoriali, knowledge graph, RAG pipeline – possono fingere un’intelligenza. Senza questo strato, ChatGPT sarebbe un pappagallo dimenticato nel 2021. Invece con l’accesso dinamico alla conoscenza, diventa un copilota. Ma attenzione: qui il rischio hallucination è massimo. Ogni API in più è un’arma a doppio taglio.

Il layer di training è quello che tutti citano, ma pochi padroneggiano. Transformers, CNN, RNN, RL: le buzzword ci sono tutte. Ma addestrare un modello oggi non è più sexy, è costoso, lento, imprevedibile. Solo pochi, pochissimi, hanno davvero bisogno di addestrare. Gli altri dovrebbero semplicemente imparare a usare meglio i modelli esistenti.

Poi c’è il layer della rappresentazione: quello che lavora nell’ombra, processando dati, creando embeddings, facendo feature engineering come fosse ancora il 2015. Ma questo strato è vitale. Se l’input è garbage, l’output sarà disastroso. I modelli sono sofisticati, ma restano idioti statistici: se non gli dai token ben formattati, non capiscono nulla. Letteralmente.

Infine l’application layer, dove l’AI si presenta al mondo. È qui che nascono gli assistenti, le dashboard, i chatbot. È qui che l’interfaccia fa la differenza tra un prodotto utile e uno che finisce dimenticato in una cartella. È il layer più visibile, quello che catalizza l’hype, ma anche il più fragile. Se non hai curato gli strati sotto, questa UI brillante sarà solo l’ennesimo front-end per un backend fallimentare.

Il problema? La maggior parte dei team oggi lavora su un solo strato. O peggio, due. Chi fa solo UX, chi solo deployment, chi si perde nella gioia tossica dell’MLOps. Ma la verità è che solo chi orchestra tutti e sette i layer può veramente dire di fare AI. Gli altri stanno semplicemente “giocando al futuro”.

Vuoi sapere quale strato è il più sottovalutato? Il secondo. Il data link layer. Senza di esso, niente MLOps, niente orchestrazione, niente modello in produzione. È il ponte tra ciò che il modello può fare e ciò che realmente fa. Lo ignorano tutti, ma è lì che si muore o si scala. Perché una AI che non si serve, non serve a niente.

Stai progettando davvero su tutti e sette i livelli? Oppure stai ancora cercando di scalare il tuo MVP con un paio di script Python e qualche endpoint improvvisato?

Meglio chiederselo ora, prima che il tuo “AI product” si autodistrugga al primo picco di traffico.

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