The State of AI Talent 2025
È un tonfo silenzioso, ma assordante per chi sa ascoltare i numeri. Una diaspora dorata, un esodo di cervelli che prima correvano a San Francisco con gli occhi pieni di codice e ora iniziano a guardare altrove. Lo dice Zeki Data, con la freddezza chirurgica di chi ha studiato 800.000 profili élite di ricercatori AI in 11 anni. Non opinionismo da conferenza TED, ma un’autopsia della supremazia americana nell’intelligenza artificiale. E il verdetto è secco: la leadership USA sta evaporando.
L’America, un tempo calamita assoluta per i migliori talenti AI, sta diventando una tappa non più la destinazione. Il 2025 potrebbe essere l’anno del sorpasso, ma non da parte di una sola nazione. Piuttosto di un nuovo ordine distribuito, multipolare, tecnonazionalista. Mentre a Washington si taglia su NSF e NIH, il resto del mondo costruisce GPU farm pubbliche, incentivi mirati, e fa il caffè ai data scientist con una mano mentre l’altra scrive policy industriali.
Inizia così una geografia della migrazione del genio: l’India, un tempo serbatoio a basso costo di Silicon Valley, oggi trattiene i suoi migliori. Il brain drain si sta invertendo. Grazie a missioni governative sull’AI, cloud sovrano, accesso a GPU condivise, i PhD di IIT non hanno più bisogno di scommettere su un visto H1-B che potrebbe svanire come un prompt mal scritto.
Nel frattempo, Google si pappa il talento LLM, come un buco nero con budget illimitato e un fascino da distopia soft. Secondo Zeki, 35% dei top builder LLM lavora per Google o DeepMind. Altro che OpenAI superstar, è Mountain View il vero Leviatano. Con buona pace dei fanboy di Altman: hardware is sexy, ma il talento è potere gravitazionale puro.
E mentre negli States si accartocciano tra la censura universitaria e le paranoie sull’AI alignment, Londra si prende la corona dell’etica AI. Perché sì, la capitale britannica attira più esperti di “AI responsabile” di qualsiasi altra città al mondo. Sarà per l’aria post-brexit o per l’effetto DeepMind + AI Safety Institute, ma l’etica lì non è un optional — è il core product. Sarà anche marketing, ma funziona: chi ha coscienza, ora prende un volo per Heathrow, non per SFO.
Poi c’è Nvidia, il Moloch dei semiconduttori che secondo certi analisti avrebbe già dovuto “essere maturo”. Invece no: l’azienda californiana continua a risucchiare talenti da Intel, AMD, persino dal settore robotico. La GPU è il cavallo di Troia, ma il vero bottino sono le menti hardware senior. E la prossima invasione? Non è AI generativa. È robotica.
Ma la parte più inquietante — e brillante — del report è quella invisibile: il 30% del talento AI emergente non è su LinkedIn, né nei database corporate. Non cercano lavoro: vanno trovati prima che brillino. E chi li sta catturando? Non Microsoft. Non Amazon. Sono startup furtive, pre-seed, talvolta in stealth mode, con una cultura hacker e incentivi da endgame. I cacciatori di teste stanno cercando nel posto sbagliato, mentre il futuro sgattaiola via nei canali Discord.
E il prezzo di questa fuga? È misurabile. L’AI sta risucchiando scienziati da medicina, biotech, persino quantum computing. Zeki rileva che le menti più brillanti della neuroscienza computazionale o della DNA nanotech oggi preferiscono lavorare per una Big Tech che fa fine-tuning, piuttosto che contribuire a un breakthrough oncologico. Il danno collaterale è un rallentamento sistemico nella ricerca medica. Ma chi può biasimarli? Lì fuori, una start-up AI ti paga sei zeri e ti lascia lavorare da Bali. Il laboratorio universitario ti paga in gloria.
Curioso, vero? L’America inventa il modello. Gli altri lo clonano. Poi lo perfezionano. È la parabola dell’impero: prima esporti ideologia, poi perdi l’egemonia tecnologica.
Nel 2025, la domanda non sarà più “Dove si fa la migliore AI?”, ma “Chi riesce ancora a trattenerla?”
La geopolitica del talento AI non è un talk da conferenza. È la nuova guerra fredda in slow motion. Una corsa non agli armamenti, ma ai dottorati. E stavolta, non vince chi ha più silicio. Vince chi ha il magnetismo per attirare cervelli. Anche quelli che non postano mai su LinkedIn.
“L’intelligenza artificiale è l’unico settore dove il cervello umano ha ancora un valore di mercato. Finché dura.”
Hai scrollato fino a qui? Allora hai già capito: la vera intelligenza, oggi, è sapere dove si spostano gli intelligenti.