Nel mezzo del delirio pandemico, quando ogni gesto umano veniva tradotto in bit e latenza, le Big Tech sembravano immortali. Investivano, assumevano, promettevano benefit da resort di lusso e leadership empatica come fosse un TED Talk permanente. Un trip digitale finanziato dalla paura globale e dal credito a tasso zero. Poi è finito tutto. Benvenuti nel COVID tech bust.
Sì, si sono tagliati i capelli, le unghie e adesso anche i dipendenti. Non è cinismo, è logica ciclica. Per ogni fase di euforia irrazionale, segue una contrazione spietata. E il 2025 sta diventando un triste catalogo mensile di licenziamenti, un elenco da bollettino di guerra hi-tech. Altro che “Great Resignation”, qui siamo nella “Great Recalibration”. Perché la pandemia ha solo anticipato quello che il mercato stava già preparando: una resa dei conti con l’iper-crescita.
Microsoft è un caso da manuale. Annuncia 6.000 tagli, quasi il 3% del personale, mentre i bilanci sono da standing ovation a Wall Street. Tagli orizzontali, trasversali, democratici persino. Ma guarda caso, la scure colpisce i manager. Troppi piani intermedi, troppi PowerPoint e poca reale produttività. Un tentativo di “deflazionare” la piramide aziendale, dopo anni di espansione organica fuori controllo. E se nel 2023 avevano già cacciato 10.000 persone, vuol dire che qualcosa è marcio nel regno di Redmond. Spoiler: non sono i risultati finanziari, ma il modello di gestione post-pandemico.
CrowdStrike, invece, mostra il lato più ironico del paradosso: licenziare nel settore della cybersecurity, quello che doveva essere “a prova di recessione”. Tagliano il 5% dei dipendenti, 500 anime in meno, e giustificano tutto con la parola magica: ottimizzazione. È il mantra dei tagliatori di teste del 2025. Ottimizzare, razionalizzare, consolidare. In pratica: licenziare con eleganza semantica. Eppure parliamo di un’azienda in uno dei rari settori che continua ad assumere altrove. Ma non basta saper fare cybersecurity, serve anche bilanciare EBITDA e aspettative di crescita a doppia cifra. L’algoritmo, ormai, decide più dei board.
Brightcove è il poster child della fusione disastrosa. Acquisita dagli italiani di Bending Spoons — nomi da film cyberpunk a parte — si sbarazza di un terzo della forza lavoro. Le sinergie, tanto care agli M&A advisor, hanno il volto triste di 198 famiglie che ricevono una mail fredda. E mentre in Italia ci si gode l’acquisizione con un bicchiere di Prosecco, negli States si firma il modulo del WARN Act.
TikTok invece è il contraltare globale. Taglia il 10% della sua forza lavoro in Irlanda, in silenzio, come un algoritmo che elimina contenuti “non conformi”. Nessun commento ufficiale, solo un avviso alle autorità e tanta retorica sul “restructuring”. È la globalizzazione in versione HR: centralizzare, accorpare, sopprimere — con l’aiuto di un reparto legale ben addestrato.
E poi c’è Rec Room, un piccolo caso emblematico. 16% di tagli. Il CEO scrive una lettera commovente, citando persino Nintendo Switch. Ma la realtà è una sola: chi ha raccolto capitali nel 2021 oggi sta bruciando cassa più veloce di quanto il mercato tolleri. La magia del metaverso si è sciolta come un NFT su server AWS. Ora servono profitti, non promesse.
Ma non è tutto doom & gloom. Chi ha competenze in cybersecurity, machine learning e cloud computing continua a trovare offerte e stipendi interessanti. È un mercato bifronte. Da una parte i generalisti, i middle-manager, i “program manager” che improvvisamente scoprono di non essere indispensabili. Dall’altra, gli specialisti del dato, i devops evangelist, gli ingegneri MLOps che ricevono ancora due offerte a settimana. Chi sa davvero lavorare con i modelli, chi sa ottimizzare pipeline e costi su cloud, chi capisce l’infrastruttura come un meccanico da Formula 1… loro sì, restano al sicuro. Per ora.
Curiosità amara: Hewlett Packard Enterprise taglia il 5% perché ha comprato troppi server AI con GPU Nvidia Blackwell. L’intelligenza artificiale costa, e molto. Ma non basta avere GPU per fare margini. Serve domanda reale, e nel frattempo si abbassano le spese “non strategiche” — come i dipendenti. Quando anche chi lavora sull’AI viene licenziato per colpa dell’AI, siamo nel cortocircuito perfetto.
E allora ecco la vera domanda: è finita la bolla tech o siamo solo all’inizio della prossima mutazione? Perché ogni taglio oggi è anche un segnale. Le aziende stanno tornando a focalizzarsi su margine, efficienza, profittabilità. Non è più tempo di crescere a tutti i costi. È il tempo dell’automazione, dell’intelligenza artificiale, della produttività misurata al millisecondo. Un ritorno a una visione crudele, ma terribilmente efficace, del capitalismo digitale.
Come diceva il vecchio Bukowski: “Find what you love and let it kill you”. Ecco, la tech industry ha trovato nell’espansione illimitata ciò che amava. Adesso la sta uccidendo lentamente, in nome del conto economico.
Intanto, i CEO rilasciano dichiarazioni empatiche, LinkedIn si riempie di “Open to Work”, e i VC fingono ottimismo in pubblico mentre chiedono tagli in privato. È il gioco. Nessuno è al sicuro, tranne chi sa restare indispensabile anche quando si spengono i riflettori.
E se vuoi davvero sapere chi vincerà in questo nuovo equilibrio, cerca quelli che non parlano mai di “famiglia aziendale”. Quelli che misurano, ottimizzano, rilasciano codice pulito e risultati concreti. Quelli che, mentre gli altri licenziano, stanno già assumendo. In silenzio.