Chi meglio del papà del Re Leone può ricordarci che, anche nel mezzo di una rivoluzione tecnologica, la magia del racconto resta insostituibile? A Pescara, in occasione di Cartoons on the Bay – il festival internazionale dell’animazione, promosso da Rai e organizzato da Rai Com – Rob Minkoff, regista, animatore e produttore statunitense, ha portato la sua esperienza e la sua visione lucida sull’evoluzione del cinema d’animazione nell’era dell’intelligenza artificiale.

“L’AI è spaventosa, certo. Ma è anche entusiasmante. Perché ci permetterà di fare cose nuove, mai fatte prima”, ha dichiarato Minkoff che subito dopo aggiunge una riflessione che vale più di mille algoritmi: “Pensiamo alla Gioconda. Ci interessa per ciò che ha fatto Leonardo, non per il pennello che ha usato”.

Una metafora semplice ma potente: non è lo strumento a contare, ma la visione. E l’AI, per quanto straordinaria, resta comunque uno strumento. Servirà sempre un input umano, una sensibilità, un pensiero critico per trasformare una sequenza di dati in una narrazione capace di emozionare.

Minkoff non è un nostalgico. Ha vissuto in prima persona la transizione dagli schizzi su carta ai primi esperimenti in computer grafica: “Quando ho iniziato alla Disney, disegnavamo tutto a mano. Poi i computer sono diventati parte integrante del processo. Ho già vissuto una trasformazione tecnologica enorme”.

Oggi, guarda all’intelligenza artificiale con rispetto ma anche con un sano realismo: “L’AI può creare qualsiasi cosa. Ma ciò che sarà importante sarà sempre ciò che è eccezionale. L’originalità emergerà comunque”.

E ai giovani lancia un doppio messaggio: imparate l’AI, ma non dimenticate cosa rende una storia memorabile. “Dovete sapere distinguere il buono dal cattivo, il bello dal mediocre. Perché la qualità media crescerà, certo. Ma il vero talento resterà ciò che fa la differenza”.

Durante il suo intervento, Minkoff ha anche raccontato aneddoti e retroscena sulla creazione di Il Re Leone, capolavoro senza tempo che nel 2024 compie 30 anni: “All’inizio si chiamava Re della Giungla. Non sapevamo nemmeno se avrebbe funzionato. Solo alla fine, quando l’abbiamo mostrato al pubblico, abbiamo capito il suo impatto”.

Ma è sulla scelta radicale di escludere la presenza umana che emerge tutta la sua visione artistica: “In Bambi l’uomo ha un ruolo, anche tragico. Ma noi abbiamo deciso di ambientare Il Re Leone in un mondo prima degli esseri umani. Un’epoca solo animale. E questo ha reso la storia ancora più universale”.

Infine, un consiglio che suona un po’ come un invito alla resistenza analogica: “Mollate il telefono e andate al cinema. Il grande schermo è ancora una forma d’arte che ha bisogno di pubblico, di attenzione, di esperienza condivisa”.

Nel tempo della tecnologia che genera immagini in un clic, forse il vero atto rivoluzionario è sedersi in sala e lasciarsi incantare da una buona storia. Che sia disegnata a mano o generata da un software, sarà sempre lo sguardo umano a fare la differenza.