Una volta, nei corridoi asettici dell’FDA, un revisore scientifico impiegava tre giorni per sviscerare un dossier di eventi avversi. Ora, con Elsa, bastano sei minuti. Tre giorni trasformati in un battito di ciglia algoritmico. Non è una sceneggiatura distopica firmata Black Mirror, è l’annuncio, con tanto di video ufficiale, del commissario Marty Makary. Sorridente, compiaciuto, quasi commosso. L’intelligenza artificiale ha appena salvato l’apparato regolatorio americano da se stesso. O, almeno, ha iniziato a farlo.

Elsa – che non canta, ma parla in JSON è l’ultima creatura della FDA, generata non nei laboratori di Google DeepMind, ma nei server blindati del GovCloud federale. Una piattaforma AI generativa, cucita su misura per i bisogni interni dell’agenzia più lenta e iper-burocratizzata del mondo occidentale. Il suo compito? Fare in modo che i funzionari non affoghino più in un oceano di PDF, label farmaceutiche, ispezioni pendenti e codice legacy scritto con la grazia di un COBOLista degli anni ‘80.

Makary l’ha definita “un assistente interno sicuro”. Non apprende dai dati dell’industria, non fugge su internet, non addestra LLM aperti. È l’equivalente digitale di un monaco benedettino, chiuso in clausura, ma con accesso all’intera farmacopea del mondo. E soprattutto: lavora in silenzio, senza sindacati, né pause caffè.

Le sue funzioni? Riassumere report su eventi avversi, confrontare etichette di farmaci (un incubo semantico per umani normodotati), generare codice per database non clinici e individuare i siti più a rischio per le ispezioni. Tutto questo udite udite senza crashare. O almeno così giurano.

La portata dell’operazione è tutt’altro che simbolica. Per una volta, un’agenzia federale ha battuto la scadenza prevista, rispettato il budget, e ha persino ottenuto l’applauso del proprio Chief AI Officer, Jeremy Walsh, che ha parlato della “dawn of the AI era at the FDA” con l’enfasi di un annunciatore NASA durante il decollo dell’Apollo 11.

Eppure, sotto l’entusiasmo da comunicato stampa, si muove qualcosa di ben più profondo: l’inizio di un cambiamento strutturale nel rapporto fra AI e governance pubblica. Elsa è solo la prima. Altre piattaforme sono già in cantiere. L’idea è chiara: automatizzare le procedure interne, liberare risorse umane, ottimizzare ogni fase del flusso operativo. Tradotto: meno dipendenti, più efficienza. E sì, anche qualche licenziamento mascherato da “riqualificazione strategica”.

Nel frattempo, dal lato opposto dell’oceano capitalistico, Vlad Tenev – CEO di Robinhood e profeta decentralizzato – ha gettato benzina sul fuoco. Parlando alla Bitcoin 2025 di Las Vegas (il posto ideale per predire il futuro con l’odore di chips e mining in background), ha delineato uno scenario di “single-person companies”, imprese governate da AI dove l’unico umano in sala è l’azionista di se stesso. Tokenizzate, naturalmente, e scambiabili su blockchain. Come Pokémon leggendari digitali.

Tenev si è spinto a paragonare questi futuri eremiti digitali a Satoshi Nakamoto. Visionari, anonimi, solitari. Ma con in mano un arsenale di LLMs e smart contracts. Altro che startup da garage: qui si parla di DAO con un solo votante, di business che girano h24 senza che nessuno timbri il cartellino.

È una narrativa affascinante, ma pericolosamente vicina all’ideologia tecnocratica. Elsa, per ora, non ha ambizioni autonome. È uno strumento. Ma quanto ci vorrà prima che qualcuno, in una conference room dell’HHS o in uno scantinato di Palo Alto, decida che può prendere decisioni regolatorie? E se funziona meglio di un umano, perché non lasciarle l’ultima parola?

C’è un effetto collaterale interessante: Elsa rappresenta anche una forma di controllo interno sull’immenso caos documentale dell’FDA. Invece di affogare nel marasma di dati, l’agenzia potrebbe finalmente iniziare a capirli. Ma attenzione: ogni volta che si introduce una scorciatoia, si apre la possibilità di abuso. Chi supervisiona Elsa? Chi verifica che i suoi riassunti non siano affetti da “hallucination bias”? E soprattutto: chi potrà accedere, domani, a questo potere computazionale?

Elsa non è un’innovazione in stile Silicon Valley, lanciata fra una IPO e un rebranding di metaverso. È un’AI governativa. Addestrata, controllata e usata per rendere lo Stato più efficiente. Un passaggio epocale. Un cambio di paradigma. E, forse, un esperimento di tecnosorveglianza soft.

La vera ironia è che mentre le agenzie pubbliche iniziano (finalmente) a svegliarsi dal letargo burocratico, è il settore privato a fantasticare sulle utopie anarchiche post-lavoro. Ma il confine tra tool e autorità, tra codice e potere, diventa ogni giorno più sottile. Elsa potrebbe essere l’inizio della fine di certe lentezze. O l’inizio di qualcosa di molto più inquietante.

In ogni caso, che sia Elsa o il prossimo avatar quantistico, una cosa è certa: il futuro non aspetta tre giorni per approvare un documento. Ora lo fa in sei minuti. Con o senza di noi.