Quando OpenAI annuncia che ChatGPT potrà registrare le tue riunioni, ascoltare i tuoi flussi di coscienza verbali e collegarsi direttamente al tuo Google Drive per rispondere alle tue domande aziendali più intime, non sta solo rilasciando funzionalità: sta piazzando un cavallo di Troia alla scrivania del middle management. Ed è vestito da stenografo amichevole.
Chiariamolo subito: record mode non è un’agenda digitale, è un orecchio onnisciente sempre acceso. ChatGPT ora prende appunti con timestamp, elenca action items, collega fonti direttamente dai tuoi documenti su SharePoint, OneDrive, Dropbox, Box, Google Drive. E lo fa “rispettando i permessi della tua organizzazione”. Tradotto: può vedere tutto quello che ti è già concesso vedere ma lo fa cento volte più velocemente di te. E senza mai dimenticare nulla. Sembra utile? Certo. Sembra anche un primo passo verso la totale dipendenza cognitiva da un’entità software? Assolutamente.
In un’epoca dove l’attenzione è una valuta più scarsa dell’uranio arricchito, la promessa di un assistente che trascrive tutto, cataloga, classifica, ragiona e ti restituisce il senso quando tu sei già passato al compito successivo, è irresistibile. È come avere un co-fondatore infallibile, ma che non reclama stock options.
C’è di più. OpenAI non si limita a vendere un tool. Sta costruendo una infrastruttura di pensiero aziendale. Il collegamento alle memorie cloud personali e aziendali trasforma ChatGPT in un motore semantico distribuito, che può interrogare terabyte di conoscenza personale e collettiva in tempo reale. A confronto, i knowledge base aziendali tradizionali sembrano archivi egizi scritti in cuneiforme.
Con un prezzo d’ingresso “modesto” 25 dollari al mese per utente, con sottoscrizione annuale e almeno due utenti per Team OpenAI punta a colonizzare quella fascia aziendale trascurata dai pacchetti Enterprise monolitici di Microsoft o Salesforce: startup in fase di crescita, team creativi, agenzie digitali, studi legali snelli, consulenti affamati. In breve: i soggetti agili, quelli che non aspettano l’IT per installare un’estensione, ma lo fanno durante la call.
Chi pensa che sia solo una feature in più, farebbe bene a guardare il contesto. OpenAI ha già superato i 3 milioni di aziende paganti, in crescita del 50% in appena quattro mesi. Il suo piano è chiaro: diventare la default AI platform per il lavoro cognitivo. Ogni nuova funzione sposta un pezzo sulla scacchiera. Prima Enterprise, poi Team, poi Edu. Domani? Probabilmente la tua intranet, il tuo CRM, il tuo gestionale ERP, magari anche la tua mente.
Nel frattempo, Google, Amazon e Microsoft stanno guardando questo sviluppo come Wall Street guardava Tesla nel 2019: tra scherno, invidia e panico da ritardo. Google, con il suo Gemini, annaspa in una guerra di branding e UX. Microsoft, pur essendo partner strategico di OpenAI, è anche suo concorrente con Copilot. Amazon ha le risorse, ma non l’appeal. Anthropic e Claude? Elegantissimi. Ma troppo timidi per il mercato aziendale affamato di dominio.
Ironia della sorte: la vera battaglia si gioca proprio dove il lavoro è più polveroso, ripetitivo e mentale. La riunione Zoom settimanale. Il brainstorming da lunedì mattina. L’analisi finanziaria dell’ultimo trimestre. Il diario di bordo del team di sviluppo. Lì, nel quotidiano logorante della conoscenza che evapora, ChatGPT si insinua come un sistema operativo del pensiero. Ma questa volta non è il tuo desktop. È il tuo cervello condiviso.
C’è chi troverà tutto questo emancipante. Finalmente liberi di pensare in grande, perché i dettagli sono gestiti da un assistente infaticabile. Ma c’è anche un prezzo subliminale: se l’AI scrive i verbali, traccia le azioni, collega i documenti e risponde alle domande… a cosa serve l’umano medio in una riunione?
Un CEO particolarmente ironico potrebbe dire: “Al catering”. E forse, non avrebbe tutti i torti.
Il futuro del lavoro non sarà diviso tra chi usa l’intelligenza artificiale e chi no. Sarà tra chi ha accesso ai suoi log semantici e chi resta fuori dal cerchio magico dei prompt e delle query. La vera conoscenza non sarà più sapere le cose, ma sapere come chiedere alla macchina giusta, nel momento giusto. Il sapere operativo sarà sostituito dal saper interrogare il sapere.
“Quante volte ho preso il traghetto durante il viaggio in Italia l’anno scorso?” È la frase che OpenAI usa per vendere questa funzione. Dietro, però, c’è una rivoluzione epistemologica. Un assistente che ti conosce meglio del tuo diario. E che può scrivere la tua storia aziendale in tempo reale, mentre tu la vivi.
O forse, mentre lui la scrive per te.