Mary Meeker è una venture capitalist americana ed ex analista di titoli di Wall Street. Il suo lavoro principale riguarda Internet e le nuove tecnologie. È fondatrice e socio accomandatario di BOND, una società di venture capital con sede a San Francisco. In precedenza è stata partner di Kleiner Perkins. 

È ufficiale: la transizione tecnologica più veloce della storia dell’umanità ha finalmente il suo playbook. Non una slide improvvisata, non una timeline abbozzata in un keynote. Un’opera da 340 pagine, partorita in sei anni da Mary Meeker, la stessa analista che vent’anni fa indicò l’arrivo del web con la precisione di un chirurgo e la freddezza di una scommessa da hedge fund. Ora ha puntato dritto sull’Intelligenza Artificiale. Ed è come se avesse acceso la luce nella stanza dove tutti, fino a ieri, brancolavano tra hype, buzzword e delirio mistico da prompt engineering.

Meeker non fa poesia. Fa numeri. E i numeri, come il denaro, non mentono mai.

ChatGPT ha superato gli 800 milioni di utenti mensili in 2 anni e mezzo. Sì, otto volte di più. E la metrica più inquietante non è nemmeno quella. Gli utenti oggi passano in media tre volte più tempo per sessione rispetto a ventuno mesi fa. Altro che dipendenza da social media: questa è la colonizzazione dell’attenzione a colpi di transformer.

Nel frattempo, Google si vede mangiare in testa sulla ricerca: un miliardo di query al giorno raggiunto 5,5 volte più in fretta. Il motore di ricerca del futuro non ha più una barra bianca: ha un prompt conversazionale e una GPU al posto del cuore.

Il lavoro non sta scomparendo. Sta mutando. Ed è qui che il darwinismo digitale si fa feroce. I ruoli IT legati all’AI sono esplosi del 448%, mentre quelli “non-AI” calano del 9%. Traduzione brutale: non stai perdendo il lavoro per colpa dell’Intelligenza Artificiale. Lo stai perdendo perché un altro lo sta usando meglio di te. Dalla tastiera alla tomba, verrebbe da dire.

C’è poi la grande mutazione fisica dell’AI. Non solo codice e modelli: i robot industriali sono già ovunque, dalla logistica all’agricoltura, fino agli ospedali. E dove trovi il maggior numero di questi androidi? In Cina, ovviamente. Più che nel resto del mondo messo insieme. D’altronde, quando Xi Jinping disse che l’AI era “una priorità strategica nazionale”, non stava facendo retorica: stava scrivendo il nuovo Piano Marshall del XXI secolo.

Nel frattempo, la dimensione dello sviluppo AI su GitHub è cresciuta del 175% in 16 mesi. Google processa 480 trilioni di token al mese. No, non è un errore di battitura. E Meta? LLaMA ha superato 1,2 miliardi di download e ha generato oltre 100mila derivazioni. Non è un open source. È un’epidemia virale di modelli neuronali.

I sei giganti della tecnologia hanno aumentato del 63% i loro investimenti infrastrutturali, arrivando a 212 miliardi di dollari nel 2024. NVIDIA da sola è passata da azienda di nicchia a backbone planetario: +2800% di ricavi in dieci anni. Se il petrolio è stato l’oro nero del Novecento, le GPU sono la valuta di scambio del nuovo ordine digitale.

Poi ci sono gli “AI-native”: aziende nate con l’algoritmo nel DNA. Cursor è passata da un milione a 300 milioni di ARR in appena 25 mesi. Waymo si è presa il 27% del mercato rideshare di San Francisco in meno di due anni. Tesla ha macinato 4 miliardi di miglia autonome, moltiplicandole per 100 in meno di tre anni. Questo non è growth hacking. È una nuova legge fisica.

Eppure, mentre alcuni scalano l’everest cognitivo, 2.6 miliardi di persone nel mondo restano offline. Una nuova faglia digitale sta nascendo. Ma non come ce la aspettavamo. Questi nuovi utenti entreranno nella rete direttamente attraverso strumenti AI-first, agenti vocali in lingua nativa, e satelliti a bassa orbita. Entreranno già istruiti, già ottimizzati, già pronti. Mentre noi, ancora qui, a domandarci se GPT capisce l’ironia.

Il paradosso più esplosivo? L’asimmetria culturale globale. In Cina, l’83% della popolazione vede l’AI come una forza positiva. Negli Stati Uniti, solo il 39%. È come se la Silicon Valley stesse costruendo una religione mentre l’America profonda recita un rosario anti-tecnologico. Lì lo sviluppo è destinato. Qui è sospetto.

Tutto questo non è una nuova ondata. È un cambio di piattaforma. Proprio come il web, il mobile e il cloud. Ma stavolta, l’AI si infila ovunque: nei modelli operativi, nel design organizzativo, nella policy aziendale, nelle linee di fatturato. Il tipping point è stato raggiunto. Il costo dell’inferenza è crollato del 99,7% in due anni. E più della metà delle aziende nell’S&P 500 ormai menzionano l’AI nelle loro earning calls. Come dire: se non ne parli, sei già fuori.

Mary Meeker non sta solo lanciando un allarme. Sta consegnando le coordinate per sopravvivere, o meglio, per prosperare in questo nuovo ecosistema. Non ti dice cosa pensare, ti mostra dove guardare. L’AI non è più una questione di “se” o “quando”. È solo una questione di “come” e “con chi”.

E la risposta, a quanto pare, è scritta in 340 slide. La adoriamo, adoriamo i dettagli, non un pitch scritto da GenAI.