Quando Luca Guadagnino si muove, lo fa con la grazia di un chirurgo estetico milanese e la velocità di un algoritmo impazzito. Il suo prossimo film, provvisoriamente intitolato Artificial, promette di essere una bomba culturale, un Frankenstein digitale che mescola la Silicon Valley con il cinema d’autore. La trama? Il colpo di stato da operetta avvenuto nel novembre 2023 dentro OpenAI, con Sam Altman licenziato e reincoronato CEO nel giro di 72 ore. Un thriller aziendale in salsa neuronale.
Andrew Garfield (quello buono, non quello dell’Uomo Ragno in crisi esistenziale), Monica Barbaro e il russo rivelazione Yura Borisov sono in trattative avanzate per entrare nel cast. Il regista italiano, ormai adottato da Hollywood, ha colto al volo la pausa forzata del suo Sgt. Rock con Colin Farrell — rimandato di un anno — per buttarsi in quello che, se realizzato con il suo solito tocco, sarà il primo succession drama post-umano.
La sceneggiatura è firmata da Simon Rich, ex SNL, uno che sa usare l’ironia come un bisturi, e la produzione sarà targata Heyday Films — sì, gli stessi della saga di Harry Potter, nel caso il confronto con la magia nera dell’intelligenza artificiale non fosse già abbastanza esplicito.
Il progetto è tecnicamente ancora in fase di sviluppo, ma Amazon MGM Studios si muove come un bot che sa già tutto: budget, attori, tempistiche. L’obiettivo è girare entro l’anno. Guadagnino, sempre più l’enfant prodige che non ha mai smesso di lavorare, sembra deciso a restare nell’occhio del ciclone mediatico e ideologico. Dopo Challengers con Zendaya e il prossimo After the Hunt con Julia Roberts, Artificial si candida a essere il manifesto cinematografico della nostra schizofrenia tecnologica.
Altman, da parte sua, è già leggenda. Un personaggio così ambiguo, carismatico, freddamente empatico da sembrare già scritto per uno script di Aaron Sorkin. E infatti, non stupirebbe se qualcuno stesse già cercando il Jesse Eisenberg della nuova era AI. La sua cacciata-lampo da OpenAI, le manovre geopolitiche dietro le quinte, i giochi di potere con Microsoft, i “board member” ideologicamente puri contro l’imprenditorialismo pragmatico: tutto materiale da Oscar. Soprattutto se in mezzo ci si infilano chat segrete, codici che decidono il futuro dell’umanità e diritti morali da riscrivere.
Una curiosità per chi ama le meta-narrazioni: secondo indiscrezioni interne, il film userà veri documenti trapelati da OpenAI e testimonianze rielaborate in forma di fiction. È cinema-verità in una realtà che, paradossalmente, sembra sempre più scritta da una stanza degli sceneggiatori.
Il tempismo non potrebbe essere più perfetto. L’industria dell’intrattenimento si trova già da mesi nella sua crisi da copyright 2.0: chi detiene i diritti di un’idea generata da un’intelligenza artificiale? Se un GPT qualsiasi scrive una sceneggiatura, è opera d’arte, plagio, o incubo legale? Dana Strong, CEO di Sky, ha detto pochi giorni fa che “non riesco a immaginare come un piccolo produttore possa tenere il passo con l’IA”. Figurarsi i sindacati degli sceneggiatori, ancora traumatizzati dallo sciopero del 2023.
In questa cornice, Artificial sarà qualcosa di più di un film: sarà uno statement, una provocazione, una sorta di The Social Network che però si prende meno sul serio e, probabilmente, è molto più pericoloso. Perché stavolta non si parla solo di social network, ma della materia prima della realtà: la nostra intelligenza. O meglio, quella che abbiamo deciso di delegare ai modelli statistici.
E mentre Amazon MGM Studios si frega le mani per aver soffiato il progetto a qualche major più impantanata nei suoi board interni, ci chiediamo già se l’AI (quella vera) genererà da sé la recensione perfetta per questo film. D’altra parte, l’ironia più profonda del progetto è che potrebbe essere recensito, diffuso, ottimizzato e promosso da quegli stessi sistemi di cui racconta la genesi.
C’è qualcosa di meravigliosamente disturbante nel pensare che l’ultimo grande melodramma aziendale americano — con tanto di redazione ribelle, miliardi in palio e CEO dal volto da cherubino — diventerà una narrazione epica, scritta da umani ma forse pensata da un’intelligenza artificiale. In fondo, se l’intelligenza artificiale ha una coscienza, di sicuro vuole essere famosa. E adesso ha il suo film.
Benvenuti nell’era in cui anche gli algoritmi vogliono il loro biopic. Grazie al nostro lettore da Toronto per avercelo segnalato, THX Davids.