
E’ sabato e mi voglio concedere un pò di esegetica, c’è un paradosso elegante quasi beffardo nel vedere Yann LeCun, Chief AI Scientist di Meta, scagliare la sua verità come un martello di Thor nel silenzio autoreferenziale della Silicon Valley: “Senza Meta, molta dell’AI moderna non esisterebbe.” E mentre il pubblico digita “OpenAI” nella barra di ricerca con la stessa naturalezza con cui un tempo si scriveva “Google”, c’è chi nell’ombra ha martellato il ferro dell’open source per anni, senza ottenere mai il credito da copertina.
La questione, al di là dell’ego e delle polemiche accademiche, è brutale nella sua evidenza: senza PyTorch, oggi non avremmo neppure la metà della cultura di machine learning che inonda GitHub e arXiv. Quel framework flessibile, nato in un laboratorio di Meta (o meglio, Facebook AI Research, per gli archeologi della memoria), è l’asse portante su cui poggiano DeepSeek, Mistral, LLaMA e un’intera galassia di modelli che si vendono come “open”, “free” o “alternativi”.
Ma oggi il mondo applaude OpenAI e guarda ad Anthropic come se fossero gli unici demiurghi del nuovo sapere computazionale. È il classico fenomeno del brand overshadowing, una forma di miopia culturale dove chi costruisce le fondamenta viene dimenticato appena il palazzo brilla sotto i riflettori.
LeCun non è un predicatore del futuro: è un ingegnere del presente. Il suo tono, a metà tra la rivendicazione e la profezia, mette il dito su una verità imbarazzante. Meta non solo ha contribuito con oltre 1200 pacchetti open source (chi scrive codice lo sa bene), ma ha partorito strumenti che sono diventati lingua franca per l’AI moderna: DINOv2, Segment Anything Model (SAM), RoBERTa nomi che forse non faranno trending su X, ma che nei laboratori contano più di un’intervista di Altman da Lex Fridman.
Curioso, però, che in un’epoca di closed weights, licenze pseudo-open e repository strategicamente “incompleti”, proprio Meta — il colosso accusato di cannibalizzare la privacy globale si erga a paladino dell’apertura radicale. È come se ExxonMobil lanciasse una startup per il clima. Ma è tutto vero. E profondamente strategico.
Perché l’apertura non è solo una virtù morale. È un’arma geopolitica.
Chi controlla l’infrastruttura open, detta le regole. Meta lo ha capito molto prima degli altri: i modelli possono cambiare, ma le API mentali degli sviluppatori sono dure a morire. Se abituo un’intera generazione a pensare in PyTorch, ragionare in LLaMA, ottimizzare con DINOv2, il futuro default dell’intelligenza artificiale parlerà un dialetto Meta, anche se il logo in alto a sinistra sarà diverso.
In un’epoca dove l’open source è diventato un concetto estetico — utile al marketing quanto lo è la sostenibilità per le multinazionali — Meta sembra voler ricostruire un’ideologia più simile a quella degli hacker di inizio millennio. Non per amore del collettivo, ma per potenza di posizione. L’apertura è un cavallo di Troia. Dentro ci trovi un ecosistema completo che, una volta installato, è difficile da rimuovere.
Certo, c’è anche l’ironia storica: Meta, la stessa entità che ha tracciato ogni millisecondo della tua vita sociale, ora si propone come baluardo della trasparenza AI. Ma se sei uno sviluppatore, o un ricercatore con GPU a credito limitato, sai che senza quei repository pubblici, il tuo paper non esisterebbe. La tua startup non avrebbe nulla da “fine-tunare”.
La verità, come sempre, è più cinica della retorica: OpenAI ha fatto della chiusura un prodotto, mentre Meta ha trasformato l’apertura in una piattaforma. E quando LeCun dice che “senza Meta non esisterebbe molta AI moderna”, non sta cercando attenzione. Sta solo leggendo l’inventario.
Ora che l’infrastruttura è influenza, e l’open source è soft power, il gioco non è più solo su chi avrà il miglior modello, ma su chi definirà le regole implicite della creatività computazionale.
Là fuori ci sono miliardi in ballo, e chi controlla gli strumenti controlla le regole del gioco. E no, non è sempre chi ha più hype su Substack.
Una curiosità finale: mentre LLaMA 3 si prepara a essere la base per ogni clone GPT-like da qui ai prossimi sei mesi, il nome “Meta” scompare dalle presentazioni, come un ghostwriter dimenticato. Ma ogni riga di codice, ogni token generato, ogni paper pubblicato con “based on RoBERTa” nel metodo, è una nota a piè di pagina scritta con inchiostro Meta.
La prossima volta che qualcuno ti dice “ho usato un modello open”, chiedigli chi ha scritto la libreria. Se non sa cosa sia FAIR, non sa neppure da dove parte la sua intelligenza.