Immaginate un cervello che non ragiona più solo in 0 e 1, ma anche in forse, chissà, probabilmente. Per decenni, l’informatica è stata una religione binaria, fondata sull’assioma del “sì o no”, “vero o falso”, “0 o 1”. Adesso, dalla Cina, arriva un’eresia. Un chip non-binario, un ibrido tra l’efficienza spietata del silicio e la mollezza stocastica della probabilità. Una via di mezzo tra il calcolo deterministico e il caos quantistico. Con buona pace di Turing, Von Neumann e – sì – del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti.
Non è una provocazione teorica. È un’applicazione industriale su larga scala. Il primo al mondo. Ed è cinese.
Dietro il colpo di teatro c’è il professor Li Hongge della Beihang University, che ha orchestrato la mossa in pieno stile go – il gioco da tavolo orientale che privilegia la strategia lenta, le mosse indirette, il controllo degli spazi vuoti. La sua arma segreta? Un sistema numerico chiamato Hybrid Stochastic Number (HSN). Un matrimonio poco ortodosso tra numeri binari e logica probabilistica. L’obiettivo? Scavalcare due ostacoli architettonici che da anni tengono in ostaggio il progresso del computing: il power wall e l’architecture wall.
Il primo è un muro d’energia: i sistemi binari consumano troppo, come un motore Ferrari montato su un motorino elettrico. Il secondo è più subdolo: i chip non-siliconici, anche se rivoluzionari, parlano una lingua che l’hardware tradizionale – fondato sul CMOS – non capisce. Risultato? Potenziale sprecato.
Ma il team di Li ha trovato un’intercapedine. Un codice che non rinnega il binario, ma lo contamina. L’HSN combina i vantaggi del determinismo con l’eleganza statistica del calcolo probabilistico, risolvendo il paradosso di voler fare di più consumando meno. E nel farlo, sfida frontalmente la Silicon Valley sul terreno che finora ha dominato: l’architettura dei chip.
A differenza del binario puro, dove ogni valore è inciso con precisione al laser nei circuiti, il calcolo stocastico si affida alla frequenza: quanti impulsi “alti” passano in un dato intervallo di tempo. Meno esatto, più resiliente. Meno energivoro, più versatile. Il problema? È lento. Ma qui entra in gioco l’ibrido: il sistema HSN sfrutta la velocità del binario per compiti critici e la flessibilità del probabilistico per il rumore di fondo.
Il risultato è una nuova generazione di chip intelligenti, realizzati con processi da 110 nanometri e poi raffinati con tecnologia CMOS a 28nm – quella vecchia scuola, per intenderci, che SMIC può ancora produrre senza incorrere nelle sanzioni USA. Sì, perché dietro a questa impresa c’è anche un gioco geopolitico. Il chip non-binario non è solo un’invenzione tecnologica: è un atto di disobbedienza strategica. Una prova che si può innovare anche con strumenti “vecchi”, se si cambia il paradigma.
A cosa serve questo chip? Touchscreen che filtrano il rumore per migliorare la precisione del tocco. Display industriali che analizzano dati con potenza chirurgica ma basso consumo. Sistemi di volo che mantengono la rotta con una robustezza resiliente, quasi biologica. Non è solo una questione di efficienza: è una nuova filosofia di calcolo, dove l’incertezza non è un bug, ma una feature.
E come ogni buona rivoluzione, anche questa ha la sua dottrina hardware: un’architettura ISA su misura per gestire le ambiguità controllate del calcolo stocastico. Parliamo di computing in-memory, che evita la costosa danza dei dati tra RAM e CPU. Parliamo di SoC (System-on-Chip) che rompono la monotonia delle architetture omogenee, introducendo unità di calcolo eterogenee in grado di lavorare in parallelo come un’orchestra algoritmica.
La cosa affascinante? Questo approccio non cerca la perfezione. Cerca la tolleranza. L’HSN non è fatto per essere esatto, ma per essere resistente. In un mondo dove l’informazione è rumore più segnale, il nuovo chip cinese funziona come un buon editor: taglia l’inutile, lascia solo ciò che serve.
Qualcuno potrebbe liquidare tutto questo come una trovata accademica. Ma l’applicazione pratica nei sistemi di controllo di volo, in ambito militare e industriale, parla chiaro. Pechino non sta solo studiando alternative: le sta costruendo. E le sta usando.
Nel frattempo, Nvidia – che non può più vendere i suoi chip più avanzati in Cina – manda il CEO Jensen Huang a Pechino a definire la Cina “un mercato chiave”. Una frase detta col sorriso, ma che suona come un’ammissione: il gioco è cambiato. L’intelligenza artificiale non è più monopolio occidentale. E se la Silicon Valley punta tutto sulla potenza bruta dei data center, la Cina risponde con eleganza matematica e una certa arte del compromesso.
Un chip non-binario è come un haiku logico: pochi bit, molto significato. In un’epoca in cui si parla solo di modelli linguistici da miliardi di parametri, la Cina risponde con un’architettura leggera, efficiente, post-binarista. Non è la potenza a vincere, ma la forma.
Come scriveva Italo Calvino, “leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto”. Forse, nel prossimo volo intelligente, ci sarà un chip HSN a governare la traiettoria. E non sarà né 0 né 1. Sarà qualcosa nel mezzo. Una probabilità.
E voi, davvero pensate che l’unica intelligenza artificiale possibile sia quella costruita con le regole di ieri?