Londra, primavera 2025. Mentre il Regno Unito si prepara all’ennesimo reboot politico tra intelligenza artificiale e distopia quotidiana, una novità luccicante spunta all’orizzonte urbano: un globo metallico, lucido, vagamente alieno, ti invita ad “autenticarti”. Non con password, né con documenti. Ti chiede solo… gli occhi. O meglio, l’iride.

La macchina si chiama Orb, la società che la distribuisce Tools for Humanity. Nome ironico per un progetto tecnocratico. Dietro le quinte, l’onnipresente Sam Altman, CEO di OpenAI, e il co-fondatore Alex Blania. Non bastava ChatGPT a rivoluzionare il pensiero umano, adesso l’obiettivo è mappare chi è effettivamente umano. Non in senso filosofico — Dio ci salvi da Kant — ma in senso biometricamente verificabile.

E così, da questa settimana, se ti trovi a passeggiare tra Oxford Street o nei mall di Manchester, potresti trovarti davanti a uno di questi Orbs, ospitati in postazioni fisse o semi-automatiche, un po’ come gli sportelli bancomat di un mondo dove il denaro è sostituito da token crittografici e l’identità è un hash code salvato sul tuo smartphone.

Sì, perché il fine dichiarato di Worldcoin, il sistema su cui si basa tutto, è creare un World ID. Una prova universale di umanità in un mondo dove i deepfake sono indistinguibili dalla realtà e i bot parlano meglio del tuo collega del marketing.

L’argomento è, a prima vista, solidamente post-cyberpunk: “dimostra che sei umano in un’economia dove il lavoro viene divorato dall’AI”. Solo che invece di Neuromante o Blade Runner, siamo a Cardiff, con file ordinate di cittadini che si fanno scannerizzare l’occhio destro per ottenere un po’ di crypto.

Lo scambio è apparentemente equo: tu dai la tua biometria, loro ti danno Worldcoin. Una valuta digitale che — dettaglio non trascurabile — ancora non ha un caso d’uso chiaro. Ma che importa? Nell’economia narrativa di Altman, il simbolismo conta quanto la funzione.

Nel frattempo, la roadmap è chiara: da 1.500 Orbs oggi a 12.000 nei prossimi 12 mesi. Una moltiplicazione che sembra uscita direttamente da un pitch di venture capital ossessionato dalla scale-up velocity. Il piano è estendere la distribuzione, prima tramite punti dedicati, poi con partnership con catene commerciali. In pratica: il tuo prossimo scan dell’iride potrebbe avvenire accanto al self-checkout del supermercato, tra una confezione di detersivo e l’ultimo NFT di Snoop Dogg.

Naturalmente, tutto questo si muove su un terreno regolatorio minato. In Germania, Argentina, Spagna e Hong Kong, la privacy è diventata il primo scoglio. Non sorprende: promettere che “non salviamo dati biometrici” mentre ti chiedono di farti scannerizzare l’iride suona più come un mantra PR che una garanzia crittografica. L’azienda insiste che tutto resta sul dispositivo dell’utente. Eppure, a oggi, le autorità europee non sono esattamente entusiaste.

Il paradosso si fa più gustoso se consideriamo chi c’è dietro: OpenAI, l’azienda che ha costruito modelli capaci di imitare perfettamente lo stile umano, adesso finanzia una startup che mira a identificare se sei umano o meno. È come se la stessa mano che genera l’inganno, si offrisse anche come garante della verità. Il tutto confezionato in un dispositivo che sembra progettato da Apple, ma con la sensibilità UX di un romanzo di Philip K. Dick.

Eppure, come spesso accade nel tecno-capitalismo, la questione centrale non è se la tecnologia funzioni, ma se riusciamo a rifiutarla. “Nessuno ti obbliga a partecipare”, dicono. Ma in un mondo dove l’accesso ai servizi si lega sempre più a identità digitali, in futuro potrebbe non esserci molta scelta. Chi vorrà rimanere off-grid? E a quale prezzo?

Oggi, il World ID è una curiosità. Domani, potrebbe essere la tua login per accedere a social network, smart banking, welfare. Un’identità digitale immutabile che, nel suo intento di difenderci dai bot, finisce per renderci definitivamente leggibili, tracciabili, prevedibili.

E poi c’è il dettaglio sublime: il linguaggio. Tools for Humanity. World ID. Orb. Tutti termini volutamente “neutri”, universali, puliti. Nulla a che vedere con l’osceno concreto del vero capitale umano: carne, memoria, errori, segreti. Invece, ci offrono la seduzione del digitale certificato. Una nuova genealogia dell’identità, dove la biologia è solo un prefisso nel cloud.

“L’occhio è lo specchio dell’anima”, diceva qualcuno. Ma nel 2025, sembra diventato solo un QR code esistenziale.