Benvenuti nel teatro dell’assurdo digitale europeo, dove il sogno di una sanità interconnessa e intelligente si scontra con la realtà di un mosaico normativo che farebbe impallidire persino Kafka. Nel cuore di questa pantomima c’è l’European Health Data Space (EHDS), un progetto che promette miracoli tecnologici – cartelle cliniche interoperabili, algoritmi predittivi, cure personalizzate – e invece consegna alla classe dirigente europea un guazzabuglio di piattaforme regionali in mano a aziende private spesso più interessate al business che al bene comune.
Immaginate di rompervi una gamba sulle Alpi francesi nel 2034. In teoria, l’ortopedico di Grenoble dovrebbe accedere alla vostra cartella clinica italiana in tempo reale, somministrarvi i farmaci giusti e aggiornare un algoritmo che previene future fratture. In pratica, buona fortuna. Le infrastrutture sono disgiunte, i protocolli blindati, i dati confinati in recinti nazionali blindati da egoismi burocratici che definire provinciali è un eufemismo. L’idea di una Federazione delle Repubbliche Sanitarie Regionali europee si infrange contro la realtà dei governi che preferiscono affidare la gestione a soggetti terzi — spesso poco trasparenti — e difendere il proprio orticello digitale come un’antica proprietà feudale.
Il rapporto Draghi di settembre 2024, osannato come la pietra miliare della nuova strategia digitale europea, dipinge l’EHDS come un banco di prova della volontà politica europea. Il fallimento qui non è solo un rischio tecnico, ma il fallimento di una visione, di un continente che tenta di competere con le superpotenze tecnologiche mondiali ma inciampa nelle sue stesse maglie legislative. Draghi non usa giri di parole: senza l’armonizzazione dell’EHDS, addio supremazia europea nell’intelligenza artificiale applicata alla salute.
Eppure la macchina si inceppa già prima di partire. Il GDPR, l’orgoglio europeo nella gestione della privacy, è diventato la miccia di un’esplosione normativa senza precedenti, con interpretazioni nazionali spesso contraddittorie. Il risultato? Un quadro normativo che più che facilitare la circolazione dei dati sanitari la ostacola, trasformando la privacy in un alibi per non collaborare. Le digital health authority nascono come mosche bianche nelle capitali, ma si trovano presto schiacciate da burocrazie lente, risorse limitate e giochi di potere interni.
Nel frattempo, la data governance rimane un campo minato. La Germania insiste che i dati restino sul proprio suolo o in Paesi “adeguati”, mentre Francia e altri adottano protocolli sempre più restrittivi. Il risultato è un’Europa frammentata, dove il mito dell’interoperabilità è più una parola di marketing che una realtà. Il cittadino europeo, invece, rimane spettatore passivo di un sistema che promette tanto ma non ancora garantisce nulla. Il diritto all’opt-out rischia di trasformarsi in boomerang, erodendo la fiducia e minando le fondamenta dell’intero progetto.
Il potenziale però è enorme. Se funzionasse davvero, l’EHDS potrebbe rivoluzionare la medicina personalizzata, facilitare trial clinici pan-europei e accelerare lo sviluppo farmaceutico. Le biotech e le grandi CRO già scalpitano, pronte a trasformare i dati in oro digitale. Ma come ogni grande promessa, l’incertezza la fa da padrona: quando l’Europa riuscirà a tradurre il dato in valore concreto?
La lentezza esasperante del progetto, paradossalmente, nasconde anche una forza: in un mondo dove gli USA e la Cina corrono a perdifiato, spesso ignorando l’etica e la privacy, l’Europa potrebbe diventare la nuova Svizzera digitale, custode di un modello sostenibile, etico e trasparente. Ma questo richiede una trasformazione radicale: passare da una politica della paura e della difesa del proprio orticello a una vera federazione dei dati, dove l’interesse collettivo sovrasta l’interesse nazionale o corporativo.
Il rischio più grande è che l’EHDS resti solo una chimera, un fragile esercizio di retorica federale, incapace di superare il tecnonazionalismo sanitario che pervade le capitali europee. E intanto, per sicurezza, portatevi dietro una chiavetta USB con la vostra cartella clinica. Perché l’Europa digitale della salute potrebbe essere ancora lontana, e quando avrete bisogno davvero di quel dato, potrebbe non esserci.
In definitiva, l’EHDS è un banco di prova geopolitico mascherato da progetto sanitario. È la scommessa europea di affermarsi come protagonista del dato, dell’intelligenza artificiale e della privacy. Ma senza una leadership forte, senza la volontà di strappare le piattaforme regionali dalle mani di interessi privati e politici locali, rischia di essere solo un altro capitolo della grande farsa burocratica continentale. E come diceva qualcuno, “l’unica cosa certa nel futuro digitale europeo è che ci sarà bisogno di più pazienza… e di qualche crash algoritmico per svegliarsi.”