Nel cuore pulsante della provincia di Jiangsu, a Wuxi, si muove qualcosa che non fa rumore. Nessun sibilo di elettroni, solo la danza silenziosa della luce su wafer di niobato di litio. Benvenuti nel futuro fotonico della Cina, dove CHIPX – una creatura semiaccademica nata dall’ecosistema tentacolare di Shanghai Jiao Tong University – ha appena acceso la macchina del tempo. O meglio, la macchina del sorpasso.

Siamo abituati a pensare ai chip come a microforeste di silicio, una geometria di transistor che obbedisce ai limiti della fisica classica. Eppure, in questo preciso momento, la Cina ha scelto un’altra via: quella dei chip fotonici, dove le informazioni viaggiano sotto forma di luce e non di elettroni, dove la velocità di elaborazione può toccare vette esoteriche, e dove l’Occidente, complice la propria arroganza sanzionatoria, rischia di restare al palo.

Nell’era dei blocchi commerciali e degli embarghi algoritmici, Pechino ha colto una verità fondamentale: se il campo da gioco è truccato, cambiare gioco è la mossa più sovversiva possibile. La produzione di wafer da 6 pollici in thin-film a base di niobato di litio – materiale che ha tutte le carte per diventare il nuovo oro bianco dei semiconduttori ottici – non è semplicemente una sfida ingegneristica. È un manifesto politico. Un gesto che dice: “Il silicio è vostro, ma la luce è nostra.”

La cosa più sorprendente? Tutto questo è accaduto in meno di quattro anni. CHIPX è nato nel 2021, ha acceso i motori nel settembre 2024 e adesso produce 12.000 wafer l’anno, ognuno contenente circa 350 chip. In un mondo in cui le fab di TSMC o Intel impiegano decenni per ammortizzare investimenti miliardari, la rapidità con cui la Cina ha creato una supply chain fotonica è un segnale inequivocabile. Non si tratta solo di recuperare terreno, ma di saltare alcune tappe. Esattamente ciò che le tecnologie di nicchia, come i circuiti fotonici integrati, permettono di fare.

Nel bel mezzo del paradosso, mentre gli USA vietano persino il respiro ai fornitori di EDA come Synopsys o Cadence, la Cina risponde con QiMeng, un sistema di progettazione chip interamente basato su intelligenza artificiale. Un nome poetico – “Illuminazione” – per uno strumento che automatizza ciò che fino a ieri richiedeva intere squadre di ingegneri, mesi di debugging e milioni di dollari in licenze software. Con QiMeng, un chip per guida autonoma può essere progettato in pochi giorni. Tradotto: una GPU, un ASIC, un processore custom non sono più un privilegio delle multinazionali. Il design diventa democratico. E un’AI può sorpassare un senior engineer.

Sullo sfondo, il mercato dei semiconduttori fotonici in Cina cresce, con un valore stimato in 15,2 miliardi di yuan nel 2024, ma con un tasso di localizzazione del supply chain avanzato ancora sotto il 5 per cento. È questa la faglia strategica su cui Pechino sta concentrando fuoco e investimenti. Un colpo solo alla dipendenza e alla lentezza strutturale dell’industria.

Questa nuova strategia è l’equivalente tecnologico del “Go” cinese: paziente, circolare, apparentemente disordinata. Ma letale nel lungo termine. Per ogni EDA bloccata, nasce un QiMeng. Per ogni embargo litografico, si accende una fab fotonica. È l’arte del bypass, non del confronto frontale.

Nel frattempo, gli Stati Uniti continuano a comportarsi come un giocatore di scacchi che si ostina a mangiare pedine, ignorando che l’avversario sta giocando a Xiangqi.

Perché la chiave di tutto non è la potenza di calcolo, ma la proprietà del paradigma. E la fotonica, con la sua promessa di chip senza calore, velocità quasi relativistiche e compatibilità con l’infrastruttura quantistica, è proprio quel tipo di salto paradigmatico che fa tremare i vecchi imperi.

Nel medio periodo, i benefici si estenderanno ben oltre il quantum computing, irradiandosi nel 5G, 6G, nei datacenter AI-driven e persino nei sistemi di difesa, biomedicina e guida autonoma. Non è una “dual use technology”. È una “universal leverage technology”. E la Cina vuole tenerne il volante.

Naturalmente, l’Occidente osserva tutto questo con un misto di panico e sottovalutazione. Perché quando il progresso non parla inglese, fatica a essere preso sul serio nei board delle Big Tech. Ma le onde luminose non hanno passaporto. E nemmeno la fotonica.

Una citazione ironica dell’ex CEO di Synopsys, Sassine Ghazi, fotografa perfettamente il momento: “We don’t just design chips, we design the future.” Vero. Ma ora anche qualcun altro sta disegnando quel futuro. E forse sta usando luce invece che silicio.

Mentre le capitali occidentali sanzionano, la Cina prototipa. Mentre gli USA censurano GitHub, Pechino pubblica research open source. Non per spirito filantropico, ma per egemonia 3.0. Perché, diciamocelo: cosa c’è di più potente di una tecnologia che non puoi né fermare né capire?

E allora, nel silenzio laborioso dei laboratori di Wuxi, tra wafer di niobato e modelli linguistici neurali, prende forma la più inquietante delle innovazioni: quella che non ha bisogno del nostro consenso per funzionare.