“Quando senti la parola ‘cloud’, guarda se piove.” Questa battuta, un po’ vecchia scuola ma mai fuori moda, descrive perfettamente la schizofrenia con cui l’Italia affronta il tema del digitale. Da un lato si moltiplicano convegni, task force e white paper che inneggiano all’Intelligenza Artificiale come alla nuova Rinascenza tecnologica italiana. Dall’altro, le PMI arrancano su server obsoleti, con una fibra che spesso è più ottica nei titoli dei bandi che nei cavi di rete. E allora, ci vuole davvero un Cloud e AI Development Act per traghettare il Bel Paese verso un futuro dove il digitale non sia più un miraggio ma una politica industriale concreta?
Il 2 febbraio 2025 segna un punto di svolta. L’entrata in vigore della prima fase dell’AI Act europeo segna un cambio di paradigma: chi sviluppa, distribuisce o adotta sistemi di intelligenza artificiale dovrà fare i conti non solo con algoritmi, ma anche con regolatori armati di sanzioni fino al 7% del fatturato globale. Niente male per un settore che si è mosso finora con l’agilità di un esperto in dark pattern più che con quella di un civil servant europeo.
La parola d’ordine è alfabetizzazione AI. Non basta più dire “ci pensa il tecnico”, come si faceva con l’idraulico. Ogni organizzazione dovrà formare il proprio staff all’utilizzo consapevole dell’intelligenza artificiale, pena l’aggravio delle sanzioni in caso di violazioni. La formazione non è più un lusso ma un salvavita legale. E qui l’Italia, con il suo esercito di PMI spesso digitalmente analfabete, rischia di rimanere impantanata nel solito pantano di mezze riforme e slanci interrotti.
Il nodo del lock-in tecnologico merita un trattato a parte. La migrazione verso il cloud è stata, in molti casi, una corsa al ribasso, con soluzioni proprietarie che trasformano il “cloud-first” in un “cloud-prisoner”. Le aziende italiane, spesso senza una strategia a lungo termine, si sono affidate a vendor che offrono sì prestazioni immediate, ma pongono barriere insormontabili alla portabilità dei dati. Un’AI italiana che non può accedere, esportare o ricostruire i propri dataset è un’AI zoppicante, inadatta a competere. Serve una normativa che obblighi alla interoperabilità e alla reversibilità dei dati, non solo nei fogli di stile del GDPR ma nel codice vivo delle piattaforme.
Il tema etico, inutile girarci attorno, è il vero campo minato. Il training dei modelli AI si basa su dati, e i dati sono il nuovo petrolio, ma senza le royalties. Chi li fornisce? Chi li pulisce? Chi li etichetta? E soprattutto: chi li controlla? L’AI Act ha già vietato pratiche manipolatorie come la sorveglianza biometrica in tempo reale o il riconoscimento emotivo in scuole e uffici. Ma i dati di training restano un terreno opaco, dove spesso la trasparenza è solo un’opzione di marketing. Eppure, come direbbe un vecchio CTO cinico, “non esiste AI etica senza dataset etici”. La portabilità, la tracciabilità e la qualità dei dati sono gli assi portanti di qualunque tentativo serio di sviluppo.
Qui entrano in scena i soliti acronimi italiani: AGCOM, AGCM, ma anche l’ACN e la presidenza del Consiglio. Le autorità, tutte impegnate a non pestarsi i piedi, faticano a trovare una regia comune. Il rischio è che il Digital Markets Act e il Data Act restino lettera morta se non accompagnati da un’implementazione nazionale chirurgica e ambiziosa. Non basta recepire le direttive europee: serve un progetto industriale che sappia unire sovranità digitale, competitività e inclusione.
E a proposito di inclusione: le commesse pubbliche sono oggi l’arma segreta (o spuntata?) per fare policy industriale nell’era dell’AI. I bandi di gara potrebbero diventare il cavallo di Troia per imporre criteri etici, interoperabilità, cloud ibridi e soluzioni open-source. Ma nella realtà dei fatti, la maggior parte dei tender si trasforma in una corsa all’offerta più bassa, premiando i colossi del cloud privato che promettono miracoli in outsourcing e lasciano le competenze italiane a bocca asciutta. Un Cloud e AI Development Act dovrebbe introdurre clausole di sviluppo locale, trasferimento di know-how e obblighi di trasparenza algoritmica nei contratti pubblici. Un modo per trasformare il procurement da zavorra burocratica a leva strategica.
Il paradosso italiano è che l’innovazione c’è, ma non si vede. Startup brillanti, centri di ricerca d’eccellenza, università che sfornano cervelli (che poi vanno a servire modelli GPT dall’altra parte dell’oceano). Un Act serio dovrebbe anche affrontare il nodo dell’indipendenza tecnologica, magari immaginando un’infrastruttura cloud nazionale interoperabile con Gaia-X ma davvero agnostica rispetto ai big americani. Non per nazionalismo tecnologico, ma per pura logica di resilienza.
E non dimentichiamolo: l’AI non è solo un tema tecnico, ma anche culturale e sociale. Formare cittadini, imprenditori, amministratori e studenti all’uso critico dell’intelligenza artificiale è un’urgenza educativa, non un lusso da convegno. Un paese che delega tutto all’algoritmo senza capire l’algoritmo è un paese che si prepara a essere colonizzato, culturalmente prima ancora che economicamente.
In fondo, la domanda è questa: l’Italia vuole essere protagonista o spettatrice del futuro digitale? Perché se è vero che il cloud è “l’energia del XXI secolo”, allora abbiamo bisogno di un Green Deal Digitale all’altezza delle sfide. Un Cloud e AI Development Act non è solo una legge: è un’occasione per decidere che tipo di paese vogliamo diventare. Ma attenzione: le occasioni, come le nuvole, passano veloci. E se non piove adesso, rischia di essere troppo tardi.
“Se non governi l’algoritmo, l’algoritmo governa te.” — questa volta non è uno slogan da TED Talk, ma la fredda logica del capitalismo digitale. E l’Italia, per ora, sta ancora cercando il telecomando.
Il 26 giugno 2025, dalle 11:00 alle 12:30, se ne vuoi sapere di piu’partecipa al webinar “L’Italia è pronta per un Cloud e AI Development Act?”, un’occasione imperdibile per riflettere sul futuro del Cloud e dell’Intelligenza Artificiale in Italia.
Tra i relatori: Antonio Baldassarra, Simonetta Vezzoso, Antonio Manganelli, Innocenzo Genna, Renato Sicca, Maria Vittoria La Rosa, Luca Megale, Alberto Messina, Simone Cremonini, Vincenzo Ferraiuolo e Marco Benacchio.
Modererà l’incontro Dario Denni Europio Consulting .
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