Nel 2025, la smart home è sempre più simile a un reality show in cui non solo le pareti hanno orecchie, ma adesso anche occhi, dita, e — sorpresa — un’intelligenza artificiale con nome da divinità romana: Gemini. Con l’ultima raffica di aggiornamenti al suo Home app, Google sta riscrivendo le regole del controllo domestico, travestendolo da comodità mentre, a ben vedere, ti invita a vivere in un habitat dove ogni gesto è mediato da un’interfaccia. Bentornati nella gabbia dorata della domotica 3.0.
Cominciamo da quello che suona come un “era ora”: il supporto picture-in-picture per le Nest Cam su Google TV. Un dettaglio apparentemente minore, ma dal valore psicologico potente: puoi guardare Netflix mentre controlli se il cane ha finalmente smesso di distruggere il divano. È il tipo di aggiornamento che nessuno aveva chiesto a voce alta, ma che, come un assistente troppo solerte, Google ti regala comunque. Una piccola finestra nell’angolo dello schermo, una grande apertura sul panopticon domestico. Più Black Mirror che Smart Living.
E non sarebbe una vera conferenza Google senza l’intervento del nuovo messia algoritmico: Gemini. L’AI onnipresente si infiltra ora anche nei più banali gesti quotidiani. Vuoi trasmettere la tua voce su tutti gli speaker della casa? Puoi farlo. Ti serve cercare un momento specifico nei filmati delle telecamere? Gemini ti consente di scrivere ciò che cerchi e ti serve il clip esatto. Geniale, finché non ti rendi conto che stai digitando invece di parlare. Sì, perché — dettaglio sottilmente inquietante — il riconoscimento vocale per ora non è incluso. Sarà un caso o una scelta calcolata per favorire l’interazione scritta, più tracciabile, più profilabile?
Dietro l’apparente facilità d’uso si nasconde un cambiamento strategico radicale: Google sta lentamente smantellando Google Assistant, migrando le sue funzionalità sotto l’ombrello più ambizioso di Gemini. Il che ha senso se l’obiettivo non è solo rispondere, ma anticipare. E per anticipare serve una mole di dati che la semplice voce non basta più a generare.
Nel frattempo, le automazioni diventano più intelligenti, ma anche più esigenti. Ora puoi creare regole basate sulla presenza percepita in casa, utilizzando la posizione del tuo telefono o i sensori Soli integrati nei dispositivi Nest. È la casa che “sa” se ci sei. Il che è fantastico, a meno che tu non sia uno di quelli che preferisce mantenere un minimo di privacy. La tua assenza non è più solo un dato: è un input, un innesco, un parametro.
La vera novità, quella sottovalutata, è l’integrazione piena di Nest Protect nell’app Home. Finalmente non serve più un’app separata per sapere se stai morendo asfissiato. Tutto è centralizzato. Tutto è “più facile”. E intanto Google ti offre una dashboard che ti avvisa in tempo reale se c’è fumo, se la CO2 sta salendo, e ti permette perfino di silenziare l’allarme — sempre che tu abbia accesso all’app, ovviamente. Un potere rassicurante, ma anche un vincolo: tutto passa dall’interfaccia. E se il server va giù?
La compatibilità con i dispositivi Matter, lo standard universale della smart home, si estende finalmente anche alle serrature intelligenti. Non solo puoi configurare chi può entrare, modificare codici, ricevere notifiche in tempo reale — puoi anche controllare tutto dal web, se per caso il tuo telefono è morto, scarico o, peggio, rubato. Sì, perché quando tutto passa da un’app, l’app è il cancello del castello. E chi controlla l’app, controlla il castello.
Non dimentichiamo le nuove Favorites, che ora comprendono una varietà più ampia di “tiles”, da cruscotti di temperatura a interruttori generali per le luci. Il concetto di controllo centralizzato si fa estetica visiva: la tua casa si trasforma in una plancia comandi da fantascienza, dove un tap può significare illuminazione totale o silenzio assoluto.
A margine, ma non troppo, spunta il widget Home Summary per Pixel, ancora in fase beta e solo su invito. Sembra un dettaglio, ma in realtà è un cavallo di Troia: l’home widget è il nuovo totem, il piccolo oracolo che ti mostra uno snapshot continuo della tua esistenza domestica. A colpo d’occhio, puoi sapere se sei sicuro, se fa caldo, se le porte sono chiuse, se la casa sta lavorando per te. O contro di te, a seconda dei punti di vista.
Sì, perché il vero cambiamento semantico non è nelle feature, ma nella filosofia: la casa non è più un luogo da abitare, ma un sistema da monitorare. Non è più tu che controlli le cose, ma le cose che ti notificano quando qualcosa non va. Un flusso continuo di micro-segnali, di interazioni progettate per sentirsi sempre in controllo, quando in realtà si è sempre più dipendenti da un ecosistema esterno.
Come ci ricorda un vecchio adagio del cyberpunk: la comodità è l’esca, la dipendenza è la trappola.
Nel 2025, Google non vende più solo software o dispositivi. Vende la sensazione di onnipotenza domestica, mediata da un’interfaccia brillante, reattiva, e costantemente aggiornata. Ma attenzione: dietro l’interfaccia c’è sempre un’interfaccia più profonda. E quella la controlla Google.
Sirius Cybernetics Corporation, nella Guida galattica per autostoppisti, definiva i propri prodotti “un successo umano totale e un fallimento tecnico completo”. Oggi, possiamo dire l’opposto: la smart home di Google è un trionfo ingegneristico… e una provocazione antropologica ancora tutta da decifrare.