È curioso come il sogno dell’autosufficienza tecnologica finisca spesso per trasformarsi in una beffa amara. Liu Qingfeng, il visionario ma pragmatico chairman di iFlytek, ha ammesso senza troppi giri di parole che affidarsi ai semiconduttori prodotti in Cina continentale – in particolare l’Ascend 910B di Huawei – comporta un ritardo di tre mesi nello sviluppo dei modelli di intelligenza artificiale rispetto all’utilizzo delle ben più mature soluzioni Nvidia. Un piccolo dettaglio che però non frena la sua testardaggine: “Meglio perdere tempo che perdere l’autonomia”, sembra dire, ostinandosi a proseguire sulla strada dei chip locali, malgrado l’inevitabile gap prestazionale.

Questo slittamento nella roadmap è il prezzo da pagare per sfuggire alla dipendenza dagli Stati Uniti, che dal 2019 tengono i produttori cinesi come iFlytek nella lista nera, negando loro l’accesso ai semiconduttori più avanzati. È una partita a scacchi geopolitica, con la Cina che punta a costruire un ecosistema interno, dal silicio al software, per non essere schiacciata da Washington. Peccato che, come ha ammesso anche Ren Zhengfei, fondatore di Huawei, i chip domestici “siano indietro di una generazione” rispetto a quelli americani, e che solo l’ingegneria creativa – stacking e clustering – possa colmare quel divario.

Qui la contraddizione diventa lampante: una Cina che vuole sfidare il mondo sull’intelligenza artificiale ma che si affida a tecnologie di seconda fascia, con performance a un 73% rispetto al benchmark Nvidia, in netto miglioramento rispetto al 25% dell’anno scorso, ma ancora lontanissimo dal podio. È un po’ come voler correre una maratona con scarpe da ginnastica fatte in casa, per quanto ben assemblate, quando i rivali corrono con modelli ultratecnologici.

Liu è convinto che questa strategia di “local chip first” pagherà, e forse ha ragione, perché nel gioco dell’AI la resilienza e la sovranità tecnologica sono diventate risorse imprescindibili. Ma non è un segreto che questo compromesso abbia costi concreti: ritardi nello sviluppo, performance limitate e una comunità di sviluppatori meno ricca e collaudata rispetto a quella globale che ruota attorno all’ecosistema Nvidia.

L’ecosistema software è infatti la vera spina dorsale del vantaggio competitivo. Nvidia non vende solo hardware, vende un intero mondo di strumenti, librerie e framework ottimizzati che accelerano il time to market per ogni azienda AI. Anche se i chip cinesi si avvicinano al 73% dell’efficienza, senza un ecosistema software altrettanto maturo, la corsa si trasforma in una maratona con ostacoli invisibili.

Non sorprende che Nvidia, con Jensen Huang in testa, stia già bocciando le politiche di embargo statunitensi come “un fallimento”. Una dichiarazione che suona come un amaro riconoscimento: limitare l’accesso ai chip Nvidia non ferma l’avanzata tecnologica cinese, ma rischia di rallentarla e soprattutto di spingere la Cina a costruirsi un ecosistema parallelo – pericoloso e imprevedibile sul lungo termine per il dominio globale americano.

iFlytek, orgogliosamente “l’unico sviluppatore cinese che insiste su chip domestici”, si fa portavoce di questa lotta non solo per la sovranità, ma anche per l’orgoglio nazionale. Il suo modello X1, con 70 miliardi di parametri, è sbandierato come l’unico modello cinese pubblico che gira su “potenza di calcolo domestica”, e viene paragonato senza mezzi termini a modelli internazionali di rilievo come DeepSeek e OpenAI.

Si tratta però di un paragone che sa di sfida e di scommessa: la Cina sta costruendo un ecosistema AI da zero, spinta più dalla necessità geopolitica che da un vantaggio tecnologico intrinseco. Start-up come Moore Threads e Iluvatar Corex stanno cercando di colmare il gap sviluppando piattaforme AI low cost e ad alte prestazioni, adattando modelli stranieri per l’uso locale. È la guerra dei chip che si combatte con innovazione ma anche con ritardi e compromessi, un campo minato dove ogni passo falso si paga caro.

Questa dinamica offre una finestra su una Cina che non vuole solo inseguire, ma che pretende di vincere in autonomia, anche se ciò significa camminare zoppa per qualche tempo. È un manifesto di orgoglio tecnologico, un’epopea di resilienza e di ingegneria politica. In fondo, come diceva un famoso ingegnere aerospaziale, “se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme”. Il problema per la Cina è che oggi il “andare insieme” non è una opzione facile, né desiderata, e allora si ripiega sul “andare da soli” con chip cinesi che rallentano la corsa ma mantengono la bandiera alta.

Nel gioco dell’intelligenza artificiale, la domanda resta aperta: quanto può permettersi una superpotenza tecnologica di accettare ritardi e compromessi per la sicurezza strategica? E soprattutto, chi vincerà la maratona del futuro digitale, se la Cina continua a correre con scarpe artigianali?