Fondata nel 2020 da veterani del settore con oltre vent’anni di esperienza sulle spalle – e probabilmente qualche cicatrice lasciata da intrusioni, notti insonni e patch critiche alle 3 del mattino RedCarbon non si è accontentata di seguire il flusso dell’AI applicata alla sicurezza. Lo ha anticipato, lo ha cavalcato, e poi lo ha trasformato in un’onda d’urto capace di riscrivere le regole del gioco: il primo Virtual Cyber Analyst, un’entità algoritmica pensante che non dorme mai, non sbaglia, non ha bisogno di ferie, e soprattutto non si lamenta del caffè della macchinetta.

La parola chiave non è cybersecurity. È autonomia assistita. Quella soglia liminale in cui l’umanità si affida all’algoritmo non per fuggire, ma per amplificare. Dove un SOC (Security Operations Center) non è più un campo di battaglia caotico popolato da operatori stremati e alert ridondanti, ma un orologio quantico in cui l’intelligenza artificiale esegue, valuta, impara, segnala e per certi versi decide.

RedCarbon ha costruito la sua missione su un paradosso: togliere all’umano la complessità per restituirgli il controllo. Un’inversione copernicana rispetto alla visione classica del cybersecurity tooling, in cui la “potenza” era tutta nelle mani degli strumenti, ma il peso delle scelte restava inchiodato sulle spalle degli analisti.

Il segreto? Un ecosistema di AI Agents specializzati, ognuno con il proprio livello di competenza – sì, come in una gerarchia militare – ma con una particolarità strategica: non sono generalisti iperintelligenti, sono specialisti chirurgici, progettati per ruoli precisi. Il risultato è un’orchestra di micro-intelligenze autonome che collaborano senza ego, e senza stanchezza.

Il livello 1, AI Analyst L1, si occupa del triage: velocizza i processi, drena i falsi positivi e automatizza tutto ciò che è banale. Ma è nel Level 2 che si gioca la partita vera. Qui RedCarbon attiva il suo analista cibernetico più riflessivo, capace di fare retrospettiva sulle minacce, scavare nei pattern comportamentali e comporre il quadro tattico con una precisione che nessun junior analyst può garantire alle tre di notte, con il dashboard che lampeggia come un albero di Natale sovraccarico.

E poi c’è il vero cacciatore, AI Threat Hunter, una creatura digitale addestrata a guardare avanti, a vedere ciò che ancora non c’è. Potremmo chiamarlo paranoia algoritmica, ma è una paranoia che paga dividendi: anticipare una minaccia prima che emerga è oggi il vero vantaggio competitivo nel cyberspazio.

Non meno affascinante è il ruolo del Threat Intelligence Analyst AI, l’unico membro del team che frequenta regolarmente il dark web senza rischi di arresto, tracciamento o estorsione. Questo agente raccoglie, correla, filtra e suggerisce in tempo reale, costruendo una mappa semiotica del male digitale là dove gli occhi umani vedono solo ombre.

Infine, ShieldAI è il bastione. Un sistema di difesa che agisce in tempo reale, auto-gestito e soprattutto invisibile. È il muro che non si vede ma che si sente – un firewall sensiente, se vogliamo spingerci nella fantascienza industriale. Ma qui non c’è nulla di immaginato: è realtà operativa già in produzione.

Il mantra è chiaro: ridurre la complessità operativa. Non per infantilizzare il SOC, ma per permettere agli esseri umani di fare ciò che le macchine ancora non sanno fare bene: pensare strategicamente, decidere con giudizio, osservare anomalie nei segnali deboli. In una parola: governare.

RedCarbon si muove su una frontiera affilata. Quella che separa la promessa dal rischio, l’automazione dall’autonomia. Ma a differenza dei competitor che brandiscono l’AI come uno slogan marketing, qui l’approccio è chirurgico, modulare e soprattutto verticalizzato su contesto. Nessuna AI monolitica. Nessun “One Ring to Rule Them All”. Ogni modulo è addestrato con dataset specifici, supervisionato con scenari di threat hunting reali e ottimizzato per ambienti enterprise dove il tempo è denaro e l’errore un costo esponenziale.

E proprio qui si gioca la carta più ambiziosa di RedCarbon: l’alleanza uomo-macchina come differenziale operativo. Un SOC potenziato da AI non è solo più veloce. È esponenzialmente più resiliente. Perché l’AI non sostituisce l’intelligenza umana, la moltiplica. E perché la cyber-difesa, oggi, è meno guerra e più diplomazia: anticipare, deviare, dissuadere.

Secondo uno studio di Forrester del 2024, il 64% delle aziende che hanno adottato AI operativa nel SOC hanno ridotto i tempi di risposta a incidenti critici del 45%. Ma ciò che i report non dicono è quanta energia umana viene liberata. Ore che non servono più per analizzare log. Risorse che si concentrano sulle decisioni ad alto impatto. Questo è il vero ROI dell’intelligenza aumentata.

La visione di RedCarbon è quasi provocatoria: rendere le aziende fearless, come si legge nella loro presentazione. Operare con fiducia, non per cecità ma per consapevolezza, grazie a una cyber-resilienza endogena. Non si tratta più solo di proteggere i dati, ma di proteggere la capacità di decidere, l’unico asset strategico in un mondo in cui ogni minuto conta.

Nel 2025, la minaccia non è più un hacker con felpa e cappuccio. È un algoritmo ostile, un’automazione malevola, un attacco supply chain orchestrato da una rete di micro-task AI. Contro questi nemici non bastano regole statiche. Servono agenti dinamici, adattivi, intelligenti. Serve RedCarbon.

E, per i più scettici, vale una massima rubata a Borges: “La realtà non è sempre probabile, o probabile che si accetti.” Benvenuti nel nuovo ordine della cybersecurity. Dove l’analista perfetto è già al lavoro. E non ha nemmeno bisogno di una scrivania.