I cinesi hanno imparato a giocare a Go. Ma a differenza dell’Occidente, non stanno più giocando a scacchi.
Mentre a Parigi, sotto le luci kitsch della VivaTech, le startup di Hong Kong distribuiscono sorrisi, demo e pitch ben confezionati, a migliaia di chilometri, nel nord dei Nuovi Territori, si alza il sipario su un altro teatro: il progetto, non proprio velato, di trasformare il territorio in una superpotenza del calcolo, incastonata tra Shenzhen e il delta del fiume delle Perle.
Supercomputing. Sovereign LLM. Potenza computazionale.
Tre parole, una dichiarazione d’intenti. Un’equazione geopolitica.
Hong Kong, secondo il suo segretario per l’Innovazione e la Tecnologia Sun Dong, intende diventare “la centrale elettrica dell’AI” nella Greater Bay Area. Peccato che in questo contesto “AI” significhi molto più di algoritmi che suggeriscono film su piattaforme streaming. Qui parliamo di intelligenze artificiali governative, addestrate su dati locali, non filtrate da valori liberal-democratici e, soprattutto, sovrane. La parola chiave, di questi tempi, ha un sapore denso, quasi nucleare.
Il nuovo Supercomputing Centre di Sandy Ridge, in fase di progettazione, non sarà una banale farm di server. Sarà un’infrastruttura strategica. Un’estensione della dottrina tech-cinese nel cuore pulsante della città che, solo fino a pochi anni fa, sembrava un avamposto libero del capitalismo anglosassone. L’ironia storica è palpabile: la metropoli delle proteste democratiche ora finanzia con orgoglio un LLM statale, HKGAI V1, uno dei primi esempi al mondo di intelligenza artificiale “sovrana” costruita sotto il cappello di una pubblica amministrazione.
La guerra non dichiarata tra USA e Cina sull’AI e sui semiconduttori non ha fermato la corsa. Ha solo spostato la competizione su altri piani. Vietare chip NVIDIA A100? Nessun problema: si sviluppano modelli meno affamati di energia e si costruiscono cloni locali. Non basta più avere i dati. Bisogna avere anche i watt per processarli.
Oggi Hong Kong ha 5.000 petaflops di potenza computazionale. Sun Dong ci dice che non basta. Entro fine anno, il centro AI di Cyberport ne fornirà altri 3.000. Numeri che fanno impallidire molte capitali europee, ancora affezionate al culto della “sostenibilità digitale”, spesso più slogan che strategia.
Il paradosso europeo emerge proprio a VivaTech, dove le startup di Hong Kong – 20, per la precisione – si presentano non come colonie tecnologiche della Cina, ma come interlocutori affamati di alleanze. Non chiedono permesso. Offrono soluzioni. Ailytics, Aqumon, Imsight: nomi sconosciuti al grande pubblico, ma già operativi nel video analytics, fintech e salute digitale. E non solo: alcune come Westwell e PointFit hanno firmato partnership con aziende europee. L’espansione è reale, pragmatica, silenziosa.
E qui entra il colpo di teatro: Pantheon Lab, la startup di “digital humans”, ci racconta che l’80% del suo fatturato viene già dall’estero. I loro avatar parlano con accento internazionale, lavorano per Toyota e per il National Gallery di Singapore. Le maschere sono high-tech, ma la strategia è antica: conquistare il mercato giocando con le regole dell’altro.
L’Europa guarda, forse ammira, ma non sa come reagire. I suoi regolatori si preoccupano di regolamentare i modelli linguistici (vedi AI Act), mentre altrove si moltiplicano i centri neurali, sovvenzionati da fondi pubblici e visioni a lungo termine. A Bruxelles si discute se ChatGPT sia “etico”. A Shenzhen si valuta se HKGAI V1 possa migliorare la pianificazione urbana o filtrare disinformazione secondo criteri locali.
Certo, ci sono domande. Quale grado di libertà potrà mai avere un modello “sovrano” in una regione dove la libertà di stampa è un ricordo sbiadito? Quali dataset alimentano questi cervelli digitali, se non c’è accesso completo ai flussi informativi globali? Ma forse queste sono domande occidentali. In un mondo multipolare, la verità ha coordinate variabili.
Una curiosità che dice molto: Hong Kong ha scelto di costruire il suo nuovo centro di supercalcolo a Sandy Ridge, una zona che confina letteralmente con la Cina continentale. Una scelta logistica? Forse. Ma anche simbolica: è lì che l’ex colonia diventa definitivamente crocevia tra due mondi.
E così, mentre le startup sfilano a Parigi come modelle su passerella, dietro le quinte si costruisce un’infrastruttura che potrebbe cambiare i rapporti di forza nell’economia della conoscenza. L’AI sovrana non è solo un prodotto. È una dichiarazione d’identità. E chi ha il calcolo, ha il potere.
La vecchia Europa farebbe bene a prendere appunti. Prima che la partita venga giocata tutta altrove.