ROMA, 18 Giugno Palazzo Grazioli. La Toscana non smette di sorprendere. Dopo aver vestito il mondo con le sue pelli conciate a regola d’arte, ora si lancia in una partita ben più silenziosa ma infinitamente più strategica: quella del trattamento delle acque reflue industriali.
E lo fa con un alleato improbabile ma potentissimo: l’intelligenza artificiale. Sì, l’AI. Non quella che ti suggerisce le playlist su Spotify o ti corregge la grammatica su Word, ma una macchina pensante che ora decide — in tempo reale — come trattare i liquami di conceria.
Altro che chatbot.Il Consorzio Aquarno SpA, nel cuore pulsante del distretto conciario toscano, ha appena riscritto le regole del gioco. È il primo depuratore in Italia a integrare l’AI nella sua filiera operativa. E lo ha fatto, udite udite, non in nome di un greenwashing da manuale, ma perché l’AI funziona.
Fa risparmiare, ottimizza, prevede. E soprattutto: riduce l’uso di chimica aggressiva in un comparto industriale che, storicamente, è tutto fuorché tenero con l’ambiente.
Niente più stregoni della chimica che aggiustano a occhio il pH: qui l’AI powered da Data Brain Services si prende la scena e spiega all’operatore quando intervenire, quanto ossigeno iniettare e quanta corrente elettrica consumare. Non decide da sola, ma suggerisce. Un cervello collettivo aumentato, che esalta l’intuito umano anziché sostituirlo.
Forse il primo esempio in Italia di “AI assistita” che funziona veramente, in un contesto industriale.La parola d’ordine non è solo “innovazione”, ma “ottimizzazione sostenibile”. Che non fa nemmeno rima, ma è ciò di cui l’Europa ha disperatamente bisogno.
Il Regolamento UE 2024/1639, il famigerato AI Act, impone vincoli rigidi sull’uso dell’intelligenza artificiale in contesti critici. Eppure, Aquarno ha trasformato queste regole in opportunità: trasparenza algoritmica, accountability, supervisione umana. Check, check, check.
È già compliant prima ancora che scattino le multe.Ma attenzione: non si tratta solo di compliance o di efficienza. Si tratta di visione. E di un salto quantico che pochi, nel nostro Paese, hanno il coraggio di affrontare.
Perché se è vero che l’Italia è il paese delle fontane, è anche vero che i suoi depuratori sono spesso fuori norma. Troppo vecchi, troppo opachi, troppo costosi.
Aquarno dimostra che si può fare altro. E meglio.La collaborazione con PBS Srl – Data Bank Services non è un dettaglio tecnico, ma una dichiarazione d’intenti. PBS non è una multinazionale di passaggio, ma una realtà toscana, radicata, che conosce il territorio e parla il linguaggio degli operai, non dei consulenti in power point.
L’algoritmo è stato addestrato con dati locali, su problemi veri, in vasche reali, tra reflui acidi e turni notturni. Qui l’AI non è un esercizio teorico: è una chiave inglese intelligente, sporca di lavoro.
L’impianto, tra i più avanzati d’Italia, tratta acque reflue urbane e industriali per quattro Comuni e decine di concerie. Roba pesante: solfuri, tannini, sali, sostanze organiche complesse. La tossicologia pura.
Eppure, già dal 2002, Aquarno ha virato verso un trattamento “tutto biologico”, riducendo al minimo l’uso di chimica sintetica. Oggi l’intelligenza artificiale completa il passaggio: monitoraggio continuo dei parametri chimici, analisi predittive, ottimizzazione del consumo energetico. Un balletto digitale in cui ogni molecola trova il suo posto.
Chi ha visto i dashboard parla di uno spettacolo ipnotico: curve che si muovono, soglie che si autoregolano, alert predittivi che anticipano i guasti. Il tutto controllato da operatori che, finalmente, fanno quello che dovrebbero fare: ragionare, analizzare, decidere.
Non più rincorrere problemi, ma prevenirli. Un paradigma ribaltato.Il costo? Circa 8 milioni di euro. In un Paese dove si spendono decine di milioni per inceneritori inefficienti e bonus edilizi discutibili, è una cifra ridicola.
Il ritorno, invece, è doppio: ambientale e industriale. L’impianto consuma meno, inquina meno, reagisce meglio alle emergenze climatiche (le famigerate “bombe d’acqua”) e ha una tracciabilità che farebbe impallidire molte fabbriche farmaceutiche.
A margine, c’è un altro dato interessante: l’impianto lavora 365 giorni l’anno, con un’efficienza costante e una curva di apprendimento che migliora col tempo. L’AI qui non è solo un tool, è un sistema nervoso. E come ogni cervello che si rispetti, impara. Giorno dopo giorno.Siamo di fronte a un esempio quasi didattico di transizione digitale intelligente.
Non quella delle app inutili o dei portali bloccati, ma quella che entra nei gangli vitali del sistema industriale e lo ristruttura dall’interno. Se davvero vogliamo una green economy che non sia solo uno slogan da conferenza stampa, dovremmo partire da qui.
Dall’invisibile. Dai depuratori.Qualcuno dirà: “Ma è solo un impianto in Toscana”. Già, come se fosse poco. Ricordiamoci che da questo stesso distretto conciario sono passati i primi protocolli europei sulla depurazione condivisa e le prime filiere a impatto controllato. Quando il resto d’Italia si arrabattava ancora con i pozzi neri.E allora, viene da chiedersi: se l’AI riesce a trattare meglio i reflui industriali che i nostri cervelli le notizie, non è il caso di darle un po’ più di fiducia?
O dobbiamo aspettare che Elon Musk ci depuri anche i fiumi?Una cosa è certa: l’acqua, in Toscana, ora scorre un po’ più pulita. Ma soprattutto, scorre intelligente. E questo, in un Paese che fatica ancora a distinguere un algoritmo da un algoritmo, è una notizia rivoluzionaria.