C’è qualcosa di profondamente post-moderno nell’idea di un’AI che non vive nei templi sacri dei data center, ma si disperde, selvaggia, nei meandri silenziosi degli smartphone e degli elettrodomestici smart. Gradient Network, startup con base a Singapore e fresco di un finanziamento seed da 10 milioni di dollari guidato da Pantera Capital, Multicoin e HSG, ha deciso che è ora di decentralizzare l’intelligenza. Letteralmente.

I nuovi protocolli Lattica e Parallax promettono di scardinare il modello centralizzato che domina l’ecosistema AI, utilizzando la blockchain di Solana per orchestrare dati e pagamenti tra dispositivi distribuiti. Telefoni, portatili, IoT: tutto ciò che ha un processore diventa potenzialmente un nodo del nuovo leviatano decentralizzato. Mentre OpenAI e Amazon si aggrappano ai loro fortini computazionali, Gradient propone qualcosa di più eretico: rendere l’intelligenza artificiale un bene pubblico, e non una commodity privata.

Già solo questa frase, pronunciata dal co-fondatore Eric Yang, suona come un’evocazione rivoluzionaria: “We believe intelligence should be a public good, not a corporate asset”. Come dire: se la storia dell’AI è finora una saga di oligarchie algoritmiche, ora tocca alla democrazia computazionale.

Parallax, in particolare, agisce come uno smembratore di modelli linguistici di grandi dimensioni, suddividendoli in frammenti più piccoli da eseguire parallelamente su molti dispositivi. L’analogia è brutale ma efficace: invece di un colosso che pensa per tutti, mille cervelli che riflettono in sincronia. Il risultato? Elaborazione dei dati locale, costi potenzialmente abbattuti, privacy rispettata. Una narrazione perfetta per l’epoca post-GDPR e post-Snowden.

Eppure, la magia distribuita ha un prezzo. Coordinare calcoli su migliaia di dispositivi non è uno sketch di stand-up comedy: è un incubo tecnico in agguato. Latenza, sincronizzazione, gestione delle interruzioni: sono gli spettri che infestano ogni architettura decentralizzata. I detrattori non si sono fatti attendere, e le critiche più pungenti ruotano proprio intorno a questi nodi. Troppo ambizioso, troppo fragile, troppo lento. Ma il team di Gradient non sembra intenzionato a tornare indietro, e rilancia con numeri: oltre 1,6 miliardi di connessioni già gestite tramite la rete Lattica in 190 regioni.

Una statistica interessante, certo, ma che lascia aperta una domanda cruciale: cosa accade quando l’AI, tradizionalmente assetata di throughput, si adatta a un modello dove la potenza computazionale è dispersa e volatile? La risposta non è semplice. È un po’ come chiedere se una sinfonia può essere suonata perfettamente da mille musicisti sparsi per il mondo, collegati via Zoom. L’orchestra può funzionare. Ma serve un direttore invisibile che sincronizzi tutto. Quel direttore, in questo caso, è Solana.

Scelta non casuale, anzi chirurgica. La blockchain nata come alternativa a Ethereum, con le sue transazioni economiche e rapidissime, diventa il collante che regola incentivi e comunicazione tra dispositivi. Ogni frammento di calcolo, ogni pacchetto di dati, ogni contributo energetico viene ricompensato, tracciato e verificato. È il capitalismo computazionale distribuito, e Solana è la banca centrale.

Non sorprende quindi che Gradient si posizioni apertamente contro le Big Tech. “Monopolio dell’AI” è l’etichetta velenosa che lancia contro i soliti sospetti. Ma qui non siamo più nel territorio delle start-up “open” che poi chiudono tutto appena entrano in borsa. Qui il gioco è diverso. La decentralizzazione non è una feature, è la premessa filosofica.

Questa filosofia, però, si scontra con una dura realtà infrastrutturale. I modelli di AI, specie quelli generativi, richiedono risorse e coerenza. Bittensor, Gensyn e altri player del settore stanno tentando strade simili, ma nessuno ha ancora dimostrato una superiorità netta. Chi vincerà? Chi riuscirà a far convivere l’utopia peer-to-peer con la brutale esigenza di performance.

Nel mondo saturato di modelli GPT e server Azure, la narrazione di un’AI distribuita seduce proprio perché è anti-sistema. Anche se ancora imperfetta. Come Bitcoin nel 2012: inutilizzabile come moneta, ma impossibile da ignorare.

E c’è dell’ironia cosmica nel fatto che proprio il sistema che promuove la massima efficienza (la centralizzazione) stia per essere sabotato dalla sua stessa periferia. Gli smartphone da 500 euro, i frigoriferi smart che attendono aggiornamenti firmware, le fotocamere da sorveglianza con cicli di clock inutilizzati. Tutti potenziali rivoluzionari silenziosi.

Ma attenzione: una rivoluzione distribuita non è meno verticale. Chi controlla i protocolli come Lattica e Parallax, controlla il nuovo regno. Gradient dice di voler pubblicare white paper, aprire canali per sviluppatori, rendere tutto open. Ma la storia ci insegna che anche le rivoluzioni hanno bisogno di imperatori. Il problema è sempre lo stesso: chi governa chi governa?

E allora forse non è davvero una questione di architettura tecnica, ma di potere. Se il cloud era la cattedrale, Gradient vuole costruire un bazar. Ma anche i bazar hanno le loro leggi, i loro custodi, i loro portinai.

Come ha scritto una volta Clay Shirky: “Tools don’t get socially interesting until they get technologically boring.” Vedremo se Gradient riuscirà a rendere noioso, e quindi universale, questo nuovo modo di far girare l’intelligenza.

Nel frattempo, gli dèi delle server farm osservano. E forse, per la prima volta, si sentono vulnerabili.