La rivoluzione dell’intelligenza artificiale non si è fermata ai laboratori di ricerca, ai colossi del tech o alle redazioni dei giornali che ancora si chiedono se ChatGPT possa scrivere come Hemingway. Ora è il turno della tavola calda. O meglio: della tavola calda di massa. Applebee’s e IHOP – i due celebri marchi americani di ristorazione “comfort”, noti più per il loro pancetta-sciroppo-cheddar che per l’innovazione digitale – stanno per lanciare un “motore di personalizzazione” alimentato da AI. E non stiamo parlando di scegliere tra pancake e omelette, ma di un algoritmo pensato per capire, memorizzare e orientare i tuoi gusti, pasto dopo pasto.

A spiegare l’ambizioso progetto è Justin Skelton, Chief Information Officer di Dine Brands, la società madre dei due ristoranti. L’idea è tanto semplice quanto inquietantemente efficace: utilizzare gli acquisti precedenti dei clienti, e quelli di utenti “simili”, per suggerire offerte su misura e incrementare le vendite tramite raccomandazioni personalizzate. Una specie di Spotify del bacon cheeseburger. Solo che invece di consigliarti un nuovo disco, ti spinge verso una porzione extra di patatine al formaggio, perché “hai già ordinato il mac ‘n’ cheese tre volte questa settimana”.

Chiariamo subito: non si tratta di una novità assoluta nel mondo del fast food. La corsa all’intelligenza artificiale è già partita da tempo tra i giganti del settore. Wendy’s ha implementato chatbot AI nei drive-thru, capaci non solo di prendere ordini ma anche di suggerire, con voce suadente, quell’aggiunta di gelato che non sapevi di volere. McDonald’s ha riattivato i suoi piani di implementazione AI nei chioschi interni e nei drive-thru, mentre Taco Bell sta già installando “Voice AI” in oltre 100 punti vendita statunitensi. Insomma, mentre il cliente cerca un taco, l’intelligenza artificiale sta già pensando a cosa venderti dopo.

Ma Applebee’s e IHOP non vogliono solo rincorrere i competitor. Secondo lo scoop del Wall Street Journal, la loro ambizione è costruire un sistema olistico, che vada oltre le semplici raccomandazioni. Una piattaforma predittiva capace di creare fidelizzazione, modellare esperienze d’acquisto personalizzate e – naturalmente – massimizzare lo scontrino medio. IHOP, grazie al suo programma di fidelizzazione, ha già una base di dati significativa sui comportamenti dei suoi clienti. Non si tratta più di intuizioni da manager esperto, ma di profilazioni calcolate su decine di migliaia di interazioni.

“L’algoritmo pensa a te, anche se tu non stai pensando all’algoritmo”, potremmo dire parafrasando la filosofia del piatto perfetto.

Dietro l’operazione c’è la convinzione, ormai condivisa tra le catene di ristorazione, che l’AI non debba solo rendere più efficienti i processi ma amplificare il desiderio stesso di consumo. Upselling strategico, offerte mirate, suggerimenti “empatici”: tutto questo avrà il sapore di una raccomandazione amichevole, ma sarà in realtà frutto di una sofisticata ingegneria predittiva.

E non finisce qui. Dine Brands sta testando anche strumenti AI destinati al personale interno. Manager dotati di app intelligenti, camerieri assistiti da sistemi predittivi per l’allocazione dei tavoli, e persino telecamere capaci di rilevare quando un tavolo è sporco. Non siamo ancora alla distopia di Orwell in salsa BBQ, ma l’automazione dell’esperienza sensoriale è più vicina di quanto pensiamo.

Non bisogna però commettere l’errore di ridurre tutto a una questione di marketing predittivo. C’è in gioco qualcosa di più profondo: il tentativo di trasformare il cibo in user experience, di traslare la logica del feed personalizzato dei social media nel contesto più primitivo del desiderio alimentare. La cena non è più una scelta, è un output.

A ben guardare, ciò che Applebee’s e IHOP stanno orchestrando è un sofisticato meccanismo di engagement neuro-gastronomico, dove ogni click sulla app, ogni ordine ricorrente, ogni indecisione tra torta di mele e cheesecake diventa una variabile da analizzare. Se non hai scelto, è solo perché il sistema non ti ha ancora suggerito la scelta giusta.

La vera posta in gioco, tuttavia, non è solo la soddisfazione del cliente. È il controllo dell’interfaccia tra desiderio e consumo. Un territorio finora gestito dall’intuizione umana – il cameriere che “capisce” il tuo umore – ora colonizzato da dati e pattern. E qui il gioco si fa strategico: chi possiede l’algoritmo, possiede il cliente.

Un tempo si diceva che la pubblicità ti spingeva a comprare cose che non ti servivano. Oggi l’AI ti conosce così bene che ti fa desiderare esattamente ciò che avevi già deciso di evitare. È la nuova arte della persuasione alimentata da reti neurali.

Intanto, nel retrobottega digitale, si combatte un’altra battaglia: quella per l’autonomia operativa. Con le restrizioni sugli strumenti software di progettazione elettronica imposte dagli USA alla Cina, anche il settore ristorativo occidentale guarda all’AI come a un’arma di competizione geopolitica. E se un ristorante può profilare i gusti del cliente medio di Houston, allora potrà farlo anche quello di Shenzhen.

Mentre tutto questo accade, la prossima volta che il tuo telefono ti suggerirà un pancake al burro d’arachidi “solo per te”, ricorda: non sei tu che scegli, è l’AI che ti ha scelto.

E non è detto che sia un problema. Purché tu abbia fame.

Report: https://www.wsj.com/articles/applebees-and-ihop-plan-to-introduce-ai-in-restaurants-61770ca5?mod=rss_Technology