Chi controlla la voce, controlla il pensiero. È una massima che, in tempi di intelligenze artificiali e restrizioni geopolitiche, assume un tono più tecnico ma non meno inquietante. A confermarlo è iFlytek, colosso cinese del riconoscimento vocale e pioniere dell’AI “sovrana”, che ha appena trasformato Hong Kong nella sua nuova base internazionale. Ma non si tratta di un trasloco logistico: è un’operazione chirurgica, strategica, simbolica. E non a caso parte dalla medicina, il terreno su cui Pechino e Washington si giocheranno molto più della prossima generazione di chip.

Mentre gli Stati Uniti stringono la morsa sulle forniture di semiconduttori, e le aziende occidentali si leccano ancora le ferite dell’embargo tecnologico incrociato, iFlytek lancia la versione internazionale del suo Spark Medical LLM V2.5, un modello linguistico di nuova generazione pensato per supportare diagnosi e trattamenti, con pieno supporto per cantonese ed inglese. Una mossa che non è solo tecnologica, ma profondamente politica. Perché usare modelli linguistici locali, allenati su dati sanitari in lingua inglese, significa entrare nelle corsie degli ospedali globali dalla porta principale, senza dover chiedere il permesso a nessun chip statunitense.

C’è qualcosa di sottilmente ironico nel fatto che l’intelligenza artificiale cinese trovi rifugio e rilancio proprio a Hong Kong, crocevia tra due mondi in guerra commerciale fredda. Ma il fondatore Liu Qingfeng lo dice chiaro: “Hong Kong non è un mercato. È la nostra base per l’internazionalizzazione.” Traduzione: è il cavallo di Troia. O se preferite, il laboratorio offshore dove testare gli strumenti dell’autonomia tecnologica cinese, prima di esportarli nei mercati sviluppati, con il passaporto di una città che parla ancora il linguaggio della finanza globale.

Così, insieme al chatbot sanitario Xiaoyi, arrivano la lavagna smart per le scuole e il sistema di trascrizione multilingua che traduce simultaneamente tra cantonese, mandarino e inglese. Non è solo una suite di prodotti: è un toolkit per la soft power del XXI secolo. E per una volta, non si tratta solo di sorpassare gli americani sul fronte dei modelli di linguaggio, ma di costruire un’architettura alternativa dove la voce dell’AI è pienamente made in China.

In questo contesto, l’enfasi sull’uso di chip Huawei non è solo una dichiarazione d’indipendenza tecnologica, ma una sfida aperta. Dal 2019, iFlytek è sulla US Entity List: niente chip avanzati NVIDIA, niente tecnologia USA. Eppure l’azienda non solo sopravvive, ma rilancia, scommettendo tutto sull’autosufficienza. È un azzardo, certo. I chip domestici non competono ancora con quelli americani in termini di potenza pura. Ma in un mondo in cui l’accesso è più importante della performance, l’autonomia conta più dei benchmark.

Tao Xiaodong, presidente di iFlytek Healthcare, ci mette anche un tocco di pragmatismo cinese: lavorare con i medici di Hong Kong – formati all’estero, ma operanti in un contesto linguistico e culturale compatibile – permette di affinare il modello LLM con dati medici in inglese, rafforzando al contempo la rilevanza globale della tecnologia sviluppata a Hefei, cuore dell’Anhui e nuovo centro gravitazionale dell’AI sinocentrica. Una geografia improbabile per l’avanguardia, eppure coerente con la narrativa cinese del decentramento strategico.

In fondo, tutto ruota attorno a un principio ormai evidente: la prossima fase della competizione globale sull’AI non si giocherà su chi ha il modello più “intelligente”, ma su chi ha il modello più utilizzabile senza dipendenze esterne. Ed è qui che iFlytek vuole diventare l’alternativa sicura per le aziende di stato e i settori strategici, offrendo una “rete di sicurezza” che parla la stessa lingua dei decisori cinesi: quella del controllo, della prevedibilità, della resilienza.

Certo, i detrattori potrebbero obiettare che senza l’accesso ai chip top di gamma, il sogno dell’autarchia tecnologica resta un compromesso. Ma forse è proprio quel compromesso ad affascinare Pechino: un’AI che non sarà la più brillante del mondo, ma che non chiederà mai il visto d’ingresso. E in un mondo in cui la tecnologia è sempre più geopolitica, forse è proprio questa la killer feature.

Il paradosso è che tutto questo avviene in una delle città più globalizzate e connesse del pianeta. Ma Hong Kong ha già dimostrato, nei secoli, di saper vivere bene sulle faglie della storia. Ora ne aggiunge una nuova: quella tra l’AI americana e quella cinese, tra chip con licenza USA e silicio made in Shenzhen. E se iFlytek riuscirà davvero a fare di questa città la sua piattaforma di lancio globale, non sarà per la qualità del codice, ma per l’intelligenza – stavolta geopolitica – dell’architettura che la sostiene.

L’AI medica, in fondo, è solo il primo cavallo di battaglia. Perché se c’è una cosa che Pechino ha capito prima di molti altri, è che in un mondo stanco di dipendenze tecnologiche unilaterali, anche una versione leggermente meno potente di ChatGPT può avere un vantaggio enorme: essere disponibile, locale, politicamente neutra (o almeno compatibile con il proprio regime di riferimento). E magari anche capace di tradurre in tempo reale una diagnosi tra tre lingue, senza bisogno di server americani.

Il futuro dell’intelligenza artificiale non parlerà solo in inglese. E probabilmente non parlerà nemmeno in silenzio. Ma è già chiaro che iFlytek ha deciso in quale lingua vorrà farlo parlare. E che lo farà con una voce chiara, distinta, molto poco occidentale.