Una CTO da 10 miliardi, e non stiamo parlando di linee di codice. Mira Murati, l’ex direttrice tecnica di OpenAI e una delle menti che ha portato al mondo ChatGPT e DALL·E, ha appena raccolto 2 miliardi di dollari per la sua nuova creatura: Thinking Machine. Valutazione post-money? 10 miliardi. No, non è un refuso. È probabilmente il round seed più colossale mai visto nella Silicon Valley — e un chiaro segnale che l’era dei modelli fondazionali non è nemmeno all’inizio del secondo tempo.
Chi conosce il curriculum di Murati sa che non è solo una “ex OpenAI”. È stata il braccio tecnico e strategico dietro alcune delle rivoluzioni più chiassose dell’intelligenza artificiale generativa. Quando Altman era sul palco, era Murati che teneva in piedi la macchina. E ora, fuori dai palazzi di OpenAI, gioca una partita tutta sua. Non in difesa. In attacco.
Thinking Machine si presenta con una missione tanto ambiziosa quanto opaca: “solid foundations, open science, practical applications.” Sembrano parole scelte con cura chirurgica per far dimenticare al mercato le critiche che stanno piovendo su OpenAI — modelli opachi, governance traballante, fiducia in calo. Murati, che ha fatto anche da CEO ad interim durante il colpo di teatro interno del 2023, ha imparato una lezione: se vuoi davvero plasmare il futuro dell’IA, devi poter riscrivere le regole. E questo implica una cosa sola: fondare una nuova religione tecnologica, con il tuo nome sulla prima pietra.
Dietro la cortina del marketing però si intravede qualcosa di più solido. Non è un caso che a16z, Accel e Conviction siano saliti a bordo come investitori. Non stanno semplicemente inseguendo il prossimo unicorno generativo. Quello che stanno comprando è il diritto d’ingresso nel prossimo ciclo di potere nell’ecosistema AI. Perché oggi, chi possiede i modelli, detta le regole. Ma domani, chi costruirà nuove architetture – più efficienti, più interpretabili, magari meno centralizzate – potrebbe ridisegnare la mappa stessa della competizione globale.
Thinking Machine non è (solo) una scommessa su una persona. È una risposta implicita a un panorama che si è saturato troppo in fretta. Dove GPT, Claude, Gemini, LLaMA sembrano versioni leggermente remixate dello stesso spartito. Murati punta a un’altra musica. E in un mondo in cui anche Apple ha dovuto chiedere aiuto ad OpenAI per non restare indietro, il messaggio è chiaro: servono nuove fondamenta, non nuove UI su vecchi modelli.
Il tempismo è perfetto. L’industria è stanca di tool da demo e chatbot che riscrivono email. C’è fame di robustezza, trasparenza scientifica e soprattutto di applicazioni concrete – ma davvero concrete, che non crollino quando le usi per prendere decisioni reali. Pensiamo alla medicina, alla finanza, all’ingegneria dei materiali. Lì, il modello che “fantastica bene” non basta più. Serve una macchina che pensa. Non una che completa.
E se vogliamo essere brutalmente onesti: Murati si prende ora una rivincita personale e strategica. Mentre Altman gioca a fare il CEO da copertina e Microsoft stringe il guinzaglio, lei ha scelto l’unica opzione che conta: l’indipendenza. E con 2 miliardi in banca, può assumere i migliori, costruire da zero, fallire un paio di volte e restare comunque davanti alla curva. In un mondo che gira alla velocità di CUDA cores, non è poca cosa.
C’è un’aria di déjà vu per chi ricorda i primi anni 2000, quando un pugno di fuoriusciti da Google e Facebook iniziava a piantare i semi di aziende che oggi valgono centinaia di miliardi. La differenza? Oggi l’infrastruttura di base – modelli, dataset, GPU – non basta più. La nuova moneta è visione ingegneristica. E Murati ne ha a sufficienza per minacciare i troni attuali.
Siamo in un momento storico dove le menti contano più dei brand. Non importa se ti chiami OpenAI o Meta. Se domani una startup come Thinking Machine riesce a dimostrare che può addestrare un modello migliore, più sicuro e più versatile — tutto il capitale, tutto il talento e tutte le partnership strategiche correranno in quella direzione.
Perché, come diceva Marc Andreessen in una delle sue rare frasi profetiche non autocentrate: “Il software mangia il mondo, ma l’intelligenza artificiale lo riscrive.” E oggi, Mira Murati ha appena iniziato a scrivere il primo paragrafo.