Sam Altman ha scelto di aprire il podcast Hard Fork con un colpo di scena che sembra più un duello a mani nude che un’intervista. Prima ancora di scaldare la voce, il CEO di OpenAI ha dirottato il microfono con una stoccata feroce al New York Times, accusandolo di aver avviato una causa legale contro l’azienda per questioni legate alla privacy degli utenti di ChatGPT. Una scena insolita, quasi da backstage di un reality show tecnologico, che ci offre una visione rara e non edulcorata delle tensioni interne e dei giochi di potere tra giganti del digitale.
La querelle parte da un nodo nodosissimo: la richiesta del New York Times che OpenAI conservi i registri delle conversazioni private. Una posizione che Altman definisce “molto seria” per gli utenti che hanno scelto di eliminare i propri dati, e quindi in netto contrasto con la filosofia stessa di tutela della privacy che OpenAI dice di voler garantire. Tradotto: se un utente cancella la cronologia, quei dati devono sparire davvero, non finire sotto custodia giudiziaria o mediatica. Un principio semplice ma di difficile gestione quando si parla di intelligenza artificiale e potenziali cause legali milionarie.
Altman, in questo siparietto semi-improvvisato, non si limita a difendere il suo orticello. Riconosce apertamente “punti critici” nella relazione con Microsoft, partner strategico e finanziario di OpenAI, ma allo stesso tempo si mostra impassibile, quasi sornione, nel raccontare le divergenze tra due colossi entrambi affamati di leadership nell’era dell’intelligenza artificiale. Lo scontro tra ambizioni è palpabile, e la convivenza forzata tra questi attori da miliardi di dollari sembra più una partita a scacchi in cui la posta in gioco è il futuro stesso del settore.
In mezzo a tutto questo, Brad Lightcap, COO di OpenAI, si lascia andare a una battuta che fotografa l’umore del momento: rispondendo a una domanda sull’interesse di Mark Zuckerberg per l’intelligenza artificiale generale (AGI), scherza dicendo che “penso che creda di essere super intelligente”. Un commento pungente che lascia intendere come, oltre alla tecnologia, anche la politica interna delle grandi aziende sia un terreno di sfide e alleanze traballanti.
Dietro la facciata di innovazione e progresso, quindi, OpenAI sembra oggi una nave che naviga tra scogli legali, tempeste competitive e un delicatissimo equilibrio tra privacy e potere dei dati. Sam Altman dichiara di “amare ancora il New York Times”, ma il messaggio sul palco di San Francisco è chiarissimo: non quando si tratta di mettere in discussione il modo in cui OpenAI protegge la privacy degli utenti. In un mondo dove i dati sono la nuova moneta, le battaglie legali e strategiche rischiano di diventare il vero campo di battaglia, ben più incandescente di qualsiasi algoritmo.