Se un’auto parte da una fabbrica senza che nessuno la guidi, attraversa parcheggi, svincoli e quartieri suburbani e arriva a casa del suo nuovo proprietario… chi è il conducente? Chi ha preso le decisioni? Chi ha firmato l’assicurazione? E soprattutto: cosa resta di noi, esseri umani, in un mondo dove anche le macchine sanno dove andare senza di noi?
L’ultimo show tecnologico di Elon Musk non è solo un video ben montato su X, la sua piattaforma social sempre più distopica. È una dichiarazione bellica. Un siluro contro le logiche arcaiche che ancora incatenano l’industria automobilistica al mito dell’uomo al volante. Una Tesla si è auto-consegnata, guidandosi da sola dalla Gigafactory in Texas fino al vialetto del suo nuovo proprietario. Niente pilota. Nessuna supervisione umana visibile. Solo asfalto, codice e arroganza ingegneristica.
Che poi non è solo arroganza, è strategia. Perché mentre Waymo ancora manda le sue auto a zonzo con mille limiti, Tesla salta la fase del “beta pubblico supervisionato” e punta direttamente al sacro graal della guida autonoma di livello 5. Non stiamo parlando di un test su pista chiusa, né di uno scenario in stile showroom con hostess in tailleur e sorrisi sintetici. Stiamo parlando di una consegna reale, in contesto urbano, con la precisione di un pacco Amazon ma senza nessun fattorino a bordo.
L’ironia è che mentre tutti si interrogano sulla sostenibilità, la transizione green, il futuro delle città e il destino delle infrastrutture, Musk risponde con un’auto che ti bussa al cancello da sola. Come dire: potete continuare a fare piani quinquennali e conferenze sulla mobilità, io intanto ho già tolto il conducente dall’equazione. Ed è proprio questo il punto: il conducente non è più solo una figura professionale, è un’ideologia. Un simbolo del controllo umano, del libero arbitrio, della supremazia cognitiva. Tesla lo sta smontando a colpi di codice neurale.
Nel video diffuso su X, la Tesla parte dalla Gigafactory come fosse un operaio stanco che timbra il cartellino e si dirige verso casa. Ma non è stanco. Non ha emozioni, né fame, né bisogno di caffeina. Sa solo cosa fare: percorrere un itinerario, leggere segnali, evitare ostacoli, non uccidere nessuno lungo il tragitto. Un’automazione perfetta, almeno in apparenza, che ha il potere di sovvertire tutte le nostre categorie mentali su guida, proprietà e persino responsabilità civile.
Ora proviamo per un attimo a scavalcare lo stupore e il fascino del gesto. Perché il video è una trappola semiotica: serve a polarizzare, a provocare, a far parlare. E infatti eccoci qui. Ma dietro la provocazione si cela un cambio di paradigma reale. Se un’auto può consegnarsi da sola, può anche operare in modalità robotaxi senza necessità di un flusso costante di supervisione umana. Ed è esattamente quello che Tesla ha cominciato a fare ad Austin, con una flotta limitata di robotaxi silenziosamente attivi. Un esperimento che sembra piccolo, ma che ha implicazioni gigantesche. È l’inizio della fine per Uber, per i tassisti, per i limiti normativi basati su parametri umani.
Waymo, da parte sua, continua a operare con un approccio iper-ingegneristico, quasi paranoico: mappature millimetriche, geofencing rigido, processi certificatori che sembrano usciti da un manuale NASA degli anni ’80. Musk invece gioca sporco. Fa saltare i passaggi, bypassa le convenzioni, e lo fa con un’audacia che sfiora il fanatismo. Ma funziona. Perché mentre gli altri dibattono se sia etico rimuovere il volante, Tesla mostra un’auto che ignora il volante del tutto.
Questo non è solo un passo avanti nella tecnologia. È un passo oltre la narrazione dominante. Il mito della guida autonoma, per anni, è stato venduto come qualcosa che sarebbe arrivato “un giorno”. Tesla sta trasformando quel giorno in “oggi” con l’agilità di chi non chiede permesso. E chi non chiede permesso, di solito, riscrive le regole.
La chiave di tutto questo è il software, e più precisamente il Full Self-Driving (FSD) v12, che Musk ha sbandierato come la vera intelligenza artificiale di guida. Un sistema che non si affida più solo a regole statiche e modelli preprogrammati, ma apprende, generalizza, reagisce. In altre parole: non guida “come dovrebbe”, guida “come guiderebbe un umano”. Un umano sobrio, paziente e tecnicamente perfetto, si spera. Ma resta il fatto che il salto concettuale non è solo ingegneristico, è esistenziale. Perché se una macchina guida come un umano, cosa resta all’umano?
Nell’industria tradizionale dell’auto, c’è ancora un culto malato del volante. Tutti i costruttori annunciano veicoli “a guida autonoma” ma inseriscono sempre un disclaimer: “il conducente deve essere pronto a intervenire in ogni momento”. È il classico trucco legale per coprire le spalle. Tesla invece inizia a ignorare quel paracadute, perché sa che l’illusione della sicurezza non genera innovazione. La vera sicurezza nasce dall’eliminazione dell’anello debole, e indovina un po’ chi è l’anello debole? L’uomo.
Naturalmente, i critici non mancano. Anzi, sono ovunque. E in parte hanno ragione. Perché dietro ogni video epocale di Tesla c’è sempre un elemento di opacità, di teatralità, di eccesso narrativo. Il video è stato pubblicato, non auditato. Non sappiamo cosa sia successo realmente durante quel tragitto. C’erano backup driver nascosti? C’erano situazioni in cui l’auto si è fermata in modo sospetto, tagliate in post-produzione? Tutto è possibile. Ma il punto non è tanto la verità del video, quanto l’effetto che produce. La suggestione è così potente che ridefinisce le aspettative collettive. Da oggi, il benchmark della guida autonoma non è più la teoria. È la Tesla che si consegna da sola.
E questo avrà un impatto diretto anche sul dibattito regolatorio. Perché finché la guida autonoma è un’ipotesi, il legislatore può dormire tranquillo. Ma quando un’auto in carne e silicio arriva da sola sul vialetto di un cittadino texano, allora il problema diventa reale. Chi è responsabile se investe un bambino? A chi si fa causa se si blocca in mezzo a un incrocio? E, soprattutto, quanti lavori spariranno nel momento in cui questa tecnologia verrà scalata su larga scala? La risposta breve è: molti. La risposta onesta è: più di quanti vogliamo ammettere.
La Tesla che si guida da sola è un cavallo di Troia. Non per penetrare le mura del mercato, ma per distruggere le fondamenta culturali del nostro rapporto con la mobilità. Siamo cresciuti con l’idea che la libertà sia incarnata nel diritto di guidare. Adesso ci dicono che la vera libertà è non doverlo fare. Ma dietro questa promessa si nasconde una realtà inquietante: se non dobbiamo più guidare, allora non dobbiamo nemmeno più scegliere. Le macchine lo faranno per noi. Sempre.
Musk lo sa. E lo cavalca come un visionario allucinato. Non vuole solo vendere auto. Vuole vendere il futuro. Vuole definire il concetto stesso di mobilità. E lo fa non con discorsi accademici, ma con gesti teatrali, ipervirali, spiazzanti. L’auto che si consegna da sola è solo l’inizio. Presto arriveranno le auto che ti seguono come un cane, quelle che ti aspettano sotto casa quando esci, quelle che ti evitano come un ex tossico. E ogni volta, ci sembrerà normale. Perché Musk non costruisce solo macchine. Costruisce accettabilità.
Ci ritroveremo a dire “è solo un’auto”, anche quando quella macchina saprà dove vivi, cosa compri, a che ora rientri e chi porti a bordo. In cambio, ci toglierà il fastidio di guidare. E ci sembrerà un buon affare. Perché la libertà, nel nuovo ordine tecnologico, si misura in chilometri senza pedali.
E allora sì, forse un giorno guarderemo quel video pubblicato su X come oggi guardiamo il primo volo dei fratelli Wright: goffo, breve, ma devastante. Non perché abbia portato qualcuno lontano, ma perché ha cancellato per sempre l’idea che serva un uomo per tenere in piedi una macchina in movimento.