Prepariamoci: nei prossimi cinque anni i colleghi più infaticabili, discreti e onnipresenti non avranno un badge aziendale, né parteciperanno a call settimanali, né consumeranno il caffè della macchinetta. Saranno entità digitali, agenti AI autonomi e scalabili, in grado di fare tutto ciò che oggi richiede un middle manager, un junior developer e, perché no, anche un buon customer care specialist. L’ha detto Huang Fei, vice-presidente di Alibaba Cloud e capo del laboratorio NLP Tongyi, durante la China Conference 2025. Ma non ci voleva un oracolo per prevederlo: bastava osservare le onde lunghe dell’evoluzione algoritmica degli ultimi 24 mesi.

Il termine che va di moda è “agentic AI”, un modo elegante per dire che l’intelligenza artificiale non si limita più a rispondere, ma agisce. Pianifica, valuta, seleziona, coordina, persino delega. È l’upgrade definitivo del chatbot: non solo ti suggerisce la risposta, ma ti prenota anche il volo, compila la nota spese e magari ti scrive la mail di follow-up. Huang sostiene che oggi siamo a cavallo tra il secondo e il terzo stadio dell’evoluzione AI, laddove il secondo è il “reasoner” (il ragionatore che capisce logiche, numeri, codice) e il terzo è l’“agente”, colui che prende l’iniziativa. Il passaggio successivo sarà l’“innovatore” e infine l’“organizzatore”, la forma più raffinata di collaborazione simbiotica uomo-macchina. L’obiettivo finale non è più creare strumenti, ma intelligenze distribuite che si muovano in sciami cognitivi, orchestrando attività con o senza supervisione umana.

Sembra fantascienza, ma è già realpolitik industriale. Alibaba non sta solo giocando al piccolo laboratorio etico, sta investendo 53 miliardi di dollari in tre anni per colonizzare l’infrastruttura dell’IA. È una corsa allo spazio, ma con data center al posto dei razzi. La serie Qwen di modelli linguistici open-source rappresenta la testa di ponte, l’equivalente digitale del petrolio grezzo che alimenterà tutta la filiera degli agenti AI personalizzati. Non si tratta più di costruire l’ennesimo LLM, ma di diventare il fornitore planetario di ossigeno computazionale per la nuova razza di sviluppatori. Un ecosistema decentralizzato, dove pochi dominano l’infrastruttura e molti costruiscono agenti verticali per ogni tipo di esigenza, dall’assistenza fiscale alla medicina preventiva.

E non manca una certa ironia nel fatto che questa visione del futuro venga declamata proprio da un dirigente di Alibaba, la stessa azienda che pochi anni fa sembrava impantanata in una crisi identitaria tra regolamentazione interna, conflitti geopolitici e crolli in Borsa. Ma è proprio lì che bisogna cercare i segnali forti: nel riassetto strategico delle Big Tech cinesi, che hanno capito che l’IA non è un accessorio, ma l’infrastruttura del prossimo capitalismo cognitivo. Huang non parla a caso di “ecosistema di sviluppatori”: è un invito esplicito a colonizzare la nuova frontiera, dove l’unico limite non è la potenza computazionale, ma la capacità di immaginare flussi di lavoro che possano essere interamente delegati ad agenti digitali.

E qui entra in scena Hong Kong, non come comparsa ma come nodo strategico. Ricerca avanzata, accesso diretto alla Cina continentale, un sistema giuridico che ancora gode di una certa reputazione internazionale, e un governo disposto a finanziare con entusiasmo qualsiasi iniziativa che contenga le lettere “A” e “I”. Il nuovo AI Supercomputing Centre di Cyberport, già al 90% della sua capacità, è il classico iceberg di cui vediamo solo la punta. Se sommiamo capitale, cervelli e potenza di calcolo, Hong Kong potrebbe diventare il Luxembourg dell’intelligenza artificiale: piccolo, ricco e indispensabile.

Ma torniamo agli agenti. La differenza chiave rispetto agli LLM classici non è tanto nel modello sottostante, quanto nell’architettura comportamentale. Un agente non genera solo testo, ma prende decisioni. Non risponde a un prompt, ma valuta obiettivi, pianifica task, interagisce con API esterne, usa strumenti. In altre parole, pensa come una micro-azienda in miniatura. E qui viene il punto dolente: siamo pronti a farci affiancare (e superare) da entità digitali che non dormono, non si distraggono e non sbagliano una virgola? La risposta più onesta è no. Ma come spesso accade, l’adozione non dipenderà dalla nostra disponibilità psicologica, ma dall’evidenza brutale dei vantaggi economici.

Il problema non è se l’agente sarà bravo quanto un essere umano. Il problema è che sarà abbastanza bravo da costare molto meno. Non è mai stato necessario che il software fosse perfetto, è sufficiente che sia più conveniente. È il principio dell’automazione imperfetta: quando il 90% di accuratezza è già sufficiente a rendere ridondante l’intervento umano. E gli agenti AI stanno raggiungendo proprio quella soglia. Stanno imparando a dialogare con i sistemi ERP, a generare report per i board, a monitorare i KPI in tempo reale, a scrivere codice che si auto-corregge. E in un mondo ossessionato dall’efficienza, questa non è innovazione: è un’arma competitiva.

Naturalmente ci sarà chi si ostinerà a vedere l’intelligenza artificiale come un tool da “promptare”, ma la vera rivoluzione sarà silenziosa e strutturale. Quando inizieremo a interagire con flussi automatizzati che ci sembreranno umani, ma che in realtà sono stati generati, raffinati e veicolati da agenti indipendenti, allora capiremo che il punto di svolta non è tecnologico, ma culturale. Il lavoro, inteso come presenza e prestazione, verrà sostituito da una nuova unità di misura: la capacità di orchestrare intelligenze artificiali su task specifici.

E se il futuro è davvero una giungla di agenti autonomi, il vero potere sarà nelle mani di chi li saprà addestrare. Dimenticatevi le CV in PDF e le skill da LinkedIn. La nuova metrica sarà la tua capacità di configurare un ecosistema di agenti che lavorino per te, mentre tu fai strategia (o fingi di farla). È il ritorno in grande stile del concetto di “leverage”, ma questa volta non parliamo di capitale, bensì di capacità computazionale scalabile. La differenza tra i vincitori e i vinti sarà tutta qui: chi ha agenti, e chi li subisce.

Sì, i colleghi digitali stanno arrivando. E saranno più silenziosi, più produttivi e meno inclini ai drammi aziendali. Ma non fatevi illusioni: non verranno per aiutarci, verranno per soppiantarci. E lo faranno con garbo, efficienza e una puntualità disumana.