Immaginate di poter mettere a bilancio i vostri sogni e ricevere un bonus fiscale per ogni buona intenzione. Adesso immaginate di essere Microsoft o Oracle, e che i vostri sogni coincidano con miliardi di dollari in spese di ricerca e data center. Voilà: benvenuti nella “One Big Beautiful Bill”, l’ultima trovata di Washington, che di bello ha soprattutto il modo in cui trasforma una riga di codice in una valanga di liquidità. Sì, perché mentre la maggior parte dei contribuenti continua a compilare moduli, certe aziende tech si preparano a incassare una delle più silenziose ma potenti redistribuzioni fiscali dell’era moderna.
Donald Trump, con la consueta teatralità, l’ha battezzata “una sola grande bellissima legge”. Un nome che sembra uscito da una pubblicità anni ’50, e che cela un meccanismo di ottimizzazione fiscale degno della Silicon Valley. In breve, la proposta prevede il ritorno del pieno ammortamento per le spese in ricerca e sviluppo e la reintroduzione del 100% di bonus depreciation per gli investimenti in capitale. Tradotto: se spendi per innovare o costruire infrastrutture, puoi dedurlo tutto subito, non nel corso di anni. Un regalo fiscale che, come ha notato Evercore ISI, è una manna per chi vive di R&D, AI e capex esagerato. Indovinate chi?
Secondo gli analisti guidati da Kirk Materne, Microsoft potrebbe vedere un incremento di 11 miliardi di dollari in free cash flow, l’equivalente di 1,50 dollari per azione. Oracle si ferma a 3,3 miliardi, ma è pur sempre un +1,12 dollari per azione. E questo solo per cominciare. L’impatto medio sui software maker che già pagano tasse in contanti è del +9% circa. “Questi sono cambiamenti contabili dal punto di vista fiscale, non finanziario”, precisa Evercore, ma la differenza sul portafoglio è fin troppo reale.
Perché il punto è proprio qui: la legge non modifica la sostanza economica delle aziende, ma ne altera la cronologia fiscale. Anticipa benefici futuri, liquefacendo il tempo contabile e permettendo alle corporation di gonfiare subito il flusso di cassa disponibile. Come una macchina del tempo fiscale, che vi porta direttamente a un bilancio più ricco senza passare per il via.
Il trucco, se vogliamo chiamarlo così, risiede in due dettagli tecnici. Primo: la spesa in R&D torna ad essere interamente deducibile nell’anno in cui viene sostenuta. Era stata messa in discussione da precedenti modifiche del codice fiscale, ma adesso rientra dalla finestra. Secondo: la bonus depreciation sui capital expenditures ritorna al 100% per le spese fatte tra il 2025 e il 2029. E non parliamo di spese modeste. Solo Microsoft prevede 69,7 miliardi di dollari in capex per il 2025, gran parte dei quali destinati a intelligenza artificiale e data center. Oracle ne spenderà 23,6 miliardi. Cifre che fanno impallidire i bilanci pubblici di intere nazioni.
La parola chiave, qui, è “intelligenza artificiale”. O, meglio, l’illusione ottica secondo cui ogni centesimo investito in AI genererà valore eterno. In realtà, dietro l’impennata di spesa c’è spesso una corsa a blindare infrastrutture che nessuno sa ancora bene come monetizzare. Ma la narrazione è perfetta: l’AI è il futuro, e il futuro va anticipato. Se poi c’è anche un incentivo fiscale, tanto meglio. “Il net impact è un risparmio fiscale aggiuntivo pari all’80% delle spese R&D del 2025”, spiega Evercore con l’eleganza di chi sa contare bene. E contando, viene voglia di capire chi ha fatto i conti davvero.
Perché, se da una parte questa strategia potrebbe aumentare gli investimenti in innovazione e tecnologia, dall’altra rischia di accentuare ulteriormente il divario tra aziende che hanno la massa critica per sfruttare i benefici e chi, semplicemente, non esiste a bilancio per l’IRS. È un po’ come giocare a Monopoli con carte speciali: se sei già il più ricco sul tabellone, ora puoi costruire hotel e castelli con lo stesso gettone.
Nel frattempo, Wall Street approva. Evercore ha alzato il target price di Microsoft da 500 a 515 dollari, e quello di Oracle da 180 a 215. Non perché siano cambiate le prospettive industriali, ma perché i flussi di cassa saranno più grassi. L’innovazione, in questa narrazione, è sempre più una leva fiscale che un piano industriale. Eppure funziona, perché funziona la borsa, e la borsa detta legge.
Nel fondo, questa storia ci ricorda che le regole contano meno della loro interpretazione. Un bilancio non è la verità, ma una rappresentazione codificata della realtà, suscettibile di variazioni, soprattutto quando la politica decide che è tempo di stimolare. Ma stimolare chi, esattamente? Di certo non le PMI o le startup, che difficilmente avranno le risorse per mettere in piedi strutture contabili capaci di intercettare questi benefici. Il vero effetto sarà quello di rafforzare la posizione dominante delle mega-cap tech, che potranno reinvestire i risparmi fiscali in più AI, più data center, più lock-in. E, se va male, più buyback.
In un’epoca in cui la semantica del progresso è tutta incentrata su modelli generativi, dati sintetici e reti neurali sempre più affamate, fa impressione scoprire che l’elemento realmente generativo oggi sia il codice fiscale. È lì che si genera valore, non nel codice Python. E non è una questione di algoritmo, ma di agenda.
Così, mentre i CEO ripetono mantricamente la parola “transformation” alle conference call, i contabili preparano i documenti per il 2025, quando ogni dollaro speso per un chip, un server o un’iniziativa AI potrà essere ammortizzato subito, come se fosse già un successo. La realtà arriverà dopo, magari con meno entusiasmo. Ma intanto i numeri sorridono. E i numeri, si sa, non mentono. O almeno, non senza l’aiuto di una buona legge fiscale.
Alla fine, la “One Big Beautiful Bill” è un esperimento di ingegneria contabile più che di politica industriale. Una di quelle trovate che fanno impazzire i CFO e i gestori di fondi, ma che raramente cambiano davvero l’economia reale. Tranne per chi sa come usarla. Perché nel grande gioco della tecnologia e del potere fiscale, chi controlla la narrazione sui flussi di cassa controlla il futuro. Anche se, nel frattempo, quel futuro viene scontato al presente, con un sorriso e una deduzione al 100%.