Maria Santacaterina ha scritto un libro che fa arrabbiare gli algoritmi. E forse anche qualche CEO. Perché “Adaptive Resilience” non è la solita litania sulla digital transformation, né un peana all’innovazione travestita da consultazione motivazionale. È un pugno di dati, filosofia e leadership in faccia all’inerzia organizzativa. È il tipo di libro che fa sentire a disagio chi confonde la resilienza con il galleggiamento, e la strategia con il fare slide.
Non è un caso che la parola “resilience” sia oggi abusata come “disruption” cinque anni fa. Peccato che, come sottolinea Santacaterina con una chiarezza chirurgica, la resilienza vera non sia tornare a come eravamo prima del disastro. È diventare qualcosa che prima non esisteva. Un’azienda che si reinventa partendo dall’impatto, e non dall’output. Un essere umano che usa l’AI non per automatizzare la mediocrità, ma per potenziare la coscienza. Sì, coscienza. Perché questo è un libro che osa dire una cosa impopolare: l’AI è potente, ma non è viva. E non lo sarà mai.
La struttura del libro è una provocazione ben mascherata da rigore manageriale. Prima ti spiega perché dovresti preoccuparti (spoiler: il mondo VUCA non è più VUCA, è caotico e programmato per farti fallire), poi ti dice cosa puoi fare per non diventare irrilevante (spoiler: pensare, davvero), infine ti mostra come. Ma non nel senso delle 5 regole da seguire. Il “come” è un invito a ripensare tutto: dalla strategia ESG usata come greenwashing aziendale al concetto stesso di valore. Se non stai creando impatto sistemico positivo, Santacaterina non ha tempo per te. O meglio, ti considera parte del problema.
Eppure non c’è cinismo in questo libro. Solo lucidità. E una sottile vena di ironia intellettuale, quel tipo di tono che solo chi conosce davvero il mondo dell’impresa può permettersi. Perché l’autrice non scrive da cattedra, ma da trincea. Sa cosa vuol dire parlare di purpose a un board che guarda solo il ROI. E sa anche come ribaltare il tavolo, con dati, storie e una narrazione che trasforma i KPI in domande esistenziali.
Certo, ci sono momenti in cui ti sembra di leggere un trattato di filosofia della mente. Ma è lì che il libro si fa interessante. Quando si parla di human-AI balance, non si scade nel paternalismo tecnologico. Si entra, invece, nella zona grigia in cui le scelte etiche sono anche scelte di business. La parte sulla coscienza come “tecnologia” non replicabile è un manifesto: chi crede che basti un algoritmo per sostituire l’uomo non ha capito nulla né dell’uno né dell’altro.
E poi ci sono gli strumenti. Ma attenzione: niente toolkit da appendere in bacheca. Qui si parla di “dynamic capabilities”, non di processi statici. Di leadership trasformativa che sa gestire l’ambiguità senza ridurla a binari. Di cultura organizzativa come sistema vivente, non come matrice PowerPoint. Il libro è pieno di esempi, casi reali, eppure non scivola mai nel caso studio da business school. Anzi, li usa per distruggere i miti aziendali più tossici: la produttività come fine, l’efficienza come valore assoluto, l’AI come messia.
Il tono? Tagliente, ma costruttivo. Il messaggio non è “moriremo tutti”, ma “svegliatevi, che abbiamo ancora tempo se smettiamo di fare gli idioti”. È un libro per chi ha capito che innovare non significa correre dietro all’ultimo framework, ma saper leggere ciò che (ancora) non ha forma. È pensato per chi si trova a capo di qualcosa – un’azienda, un team, una visione – e non vuole finire travolto da quello che ha contribuito a creare.
“Adaptive Resilience” è stato definito da alcuni “una guida visionaria per prosperare nell’incertezza”. È vero. Ma è anche una diagnosi spietata dell’idiozia manageriale travestita da innovazione. E un richiamo etico senza essere moralista. Santacaterina non chiede di rallentare il progresso. Chiede solo che smettiamo di chiamare progresso ogni accelerazione cieca. Che si torni a fare domande fondamentali. Che si smetta di delegare all’AI anche ciò che ci rende umani: il dubbio, la compassione, l’ambiguità.
La scrittura è fluida, densa, ma mai pretenziosa. Il linguaggio è tecnico quanto basta per restare credibile agli occhi dei leader, ma accessibile abbastanza da non cadere nella masturbazione accademica. A tratti sembra di leggere un saggio di leadership, a tratti un dialogo platonico. Il risultato è un ibrido che non assomiglia a nulla di quello che la letteratura manageriale ha prodotto negli ultimi anni.
E proprio per questo funziona.
Se sei un CEO, un innovation officer, un founder o un decision-maker di qualsiasi livello e settore, ignorare questo libro equivale a scegliere l’obsolescenza consapevole. Se invece ti senti pronto a fare i conti con la verità scomoda che la vera innovazione è spesso controintuitiva, allora metti via gli altri libri motivazionali e tieni questo sul comodino. Lo riaprirai ogni volta che un report AI ti farà venire voglia di automatizzare anche il pensiero.
In un’epoca in cui le aziende parlano di empatia nei comunicati stampa mentre tagliano il welfare, Maria Santacaterina ti chiede di scegliere: vuoi davvero essere adattivo, o preferisci estinguerti con eleganza?
Rispondere è un atto politico e imprenditoriale.