L’intelligenza artificiale non è più un gioco tra ingegneri, è diventata una partita di scacchi giocata con silicio e sanzioni. Huawei, mossa dopo mossa, sta cercando di insinuarsi nei territori controllati da Nvidia e AMD, proponendo con garbo asiatico piccole quantità dei suoi chip Ascend 910B in regioni strategicamente sensibili come Medio Oriente e Sud-est asiatico. Ma sotto questo traffico in apparenza marginale si nasconde un’operazione chirurgica di penetrazione nei mercati più caldi della nuova Guerra Fredda tecnologica.
Il fatto che Huawei offra “qualche migliaio” di chip a Emirati Arabi, Arabia Saudita e Thailandia potrebbe sembrare poca cosa, finché non si guarda il contesto. In quei paesi, si gioca il futuro delle infrastrutture AI globali. I governi locali, affamati di potenza computazionale, sono già invasi da milioni di processori firmati Nvidia e AMD, ma Pechino conosce bene l’arte dell’infiltrazione: si parte con le briciole, poi si costruisce l’ecosistema.
Huawei, che molti continuano a considerare solo un gigante delle telecomunicazioni, si è trasformata nella versione cinese di Intel e Amazon Web Services fusi in un solo corpo, sotto guida politica. La proposta di accesso remoto al suo sistema CloudMatrix 384, basato su Ascend 910C, rappresenta un assaggio dell’infrastruttura nazionale cinese. Un regalo avvelenato? Forse. Ma è anche uno specchio offerto a Riyadh e Kuala Lumpur: “Guardate cosa potete avere se scegliete noi, senza dovervi inginocchiare a Washington”.
Il problema per Huawei è che le forniture non bastano. Può produrre 200.000 chip AI quest’anno, una miseria rispetto alla domanda interna cinese, che supera il milione. Ecco perché all’estero vengono proposti i “vecchi” 910B, accompagnati da un gesto simbolico: noi ci siamo, vi mostriamo ciò che possiamo fare. I chip di nuova generazione restano chiusi dentro la Grande Muraglia Digitale, in attesa che Pechino decida di passare al contrattacco.
I politici statunitensi, nel frattempo, reagiscono come sempre in ritardo, divisi tra chi vuole accelerare l’esportazione dei propri chip per bloccare Huawei sul nascere e chi teme che ogni chip spedito possa ritrovarsi in un data center connesso a Pechino. In altre parole, Washington non sa se agire come commerciante o come carabiniere. Una schizofrenia strategica che Huawei sfrutta abilmente, appoggiandosi a partner con storici legami cinesi e un crescente disinteresse verso le ansie americane.
E qui entriamo nel territorio delle narrazioni parallele. Mentre Huawei nega qualunque coinvolgimento con l’università MBZUAI di Abu Dhabi, i funzionari americani si preoccupano proprio dell’assenza di accordi concreti: “è la quiete prima della tempesta”, pensano. E hanno in parte ragione. Perché il vero obiettivo di Huawei non è vendere chip oggi. È rendere familiare la propria presenza, creare fiducia, insinuarsi tra le pieghe della sovranità digitale locale. È l’inizio del marketing geopolitico, non il fine.
Ogni Ascend 910B esportato è una sonda culturale, un biglietto da visita, un’esca. Ed è un messaggio per gli investitori arabi: esiste un’alternativa a Nvidia. Non serve che sia migliore, basta che sia abbastanza buona e soprattutto disponibile senza visti americani. Chiunque abbia partecipato a un procurement governativo in Medio Oriente sa quanto contino i tempi, i rapporti personali e la possibilità di aggirare le lungaggini occidentali.
In parallelo, c’è la questione delle scorte. Huawei avrebbe ottenuto da TSMC ben 2,9 milioni di die di 910B, ancora non incapsulati. Una bomba a orologeria per gli americani, che vedono in quelle riserve non un prodotto vecchio ma un potenziale esercito dormiente. In caso di rottura frontale tra Washington e Riyadh, quei chip potrebbero essere attivati e dispiegati in data center strategici, aggirando il blocco tecnologico occidentale.
Il fatto che Huawei non commenti nulla è parte integrante della strategia. L’azienda, che ufficialmente “non ha spedito nulla in Malesia”, lavora nell’ombra, lasciando che siano altri a parlare per lei. Il silenzio è il nuovo PR. E funziona, perché in un’epoca dove ogni parola può innescare un embargo, il vero potere si esercita con l’opacità.
A rendere tutto più surreale c’è il cortocircuito americano. Mentre Trump promette chip a pioggia durante i suoi tour nel Golfo, il Dipartimento del Commercio tiene ferme le autorizzazioni, temendo che quelle vendite possano diventare un boomerang. Un’apparente schizofrenia che in realtà rivela la natura dell’AI moderna: arma economica, leva diplomatica, trappola commerciale. Come ha detto Jeffrey Kessler, sottosegretario al Commercio, “non dobbiamo sentirci troppo rassicurati dalla scarsa produzione cinese, perché sappiamo che hanno ambizioni globali”. E quando lo dice un burocrate americano, dovremmo ascoltare attentamente.
Huawei non ha bisogno di vincere subito. Gli basta restare in partita. Mentre gli americani litigano sulle regole, la Cina piazza pedine. Piccoli lotti di chip, accessi remoti, accordi non firmati ma lasciati aperti. Tutto fa parte di una strategia che ricorda molto il gioco Go, dove l’importante non è conquistare il centro, ma costruire influenza ai margini finché l’avversario si accorge che è troppo tardi.
In Arabia Saudita, il corteggiamento è più avanzato. SDAIA, l’autorità nazionale per l’AI, non conferma né smentisce. Anche questo è un segnale: se la risposta fosse stata un “no” netto, l’avrebbero detto. Ma restare ambigui significa mantenere aperta la porta, magari in attesa che gli americani si decidano a chiarire le condizioni di accesso alle GPU Nvidia. O magari solo per non dover scegliere subito tra Pechino e Washington.
La partita, in fondo, non si gioca solo sul terreno tecnologico. Si gioca nel sottobosco delle licenze, degli standard, dei vincoli normativi. Il Dipartimento del Commercio USA, infatti, ha già redatto un regolamento per estendere i controlli all’export di chip verso Malesia e Thailandia, ma non ha ancora premuto il grilletto. Il rischio? Che nel frattempo Huawei costruisca alleanze, stringa accordi informali, conquisti cuore e mente dei policymaker locali. E quando le regole saranno pronte, sarà troppo tardi: il terreno sarà già stato occupato.
La narrazione pubblica americana ruota ancora attorno al mito della supremazia tecnologica. Ma l’AI è già diventata una questione di influenza, non di performance. E se Nvidia è il Ferrari dell’intelligenza artificiale, Huawei punta a diventare la Toyota: abbastanza buona, sempre disponibile, e soprattutto con una filiera meno dipendente dall’occidente. Per alcuni paesi, quella potrebbe essere l’unica opzione praticabile.
Il sospetto, mai detto apertamente, è che molti governi del Sud globale vogliano in realtà un mondo dove possono usare chip da entrambi i fronti. Non vogliono scegliere tra USA e Cina, vogliono scegliere giorno per giorno quale fornitore offre il miglior compromesso. Huawei ha capito tutto questo. Gli americani ancora no.