Non è mai solo questione di colpire la palla. A Wimbledon, è sempre questione di sangue, erba e colonialismo sportivo. Jannik Sinner, un altoatesino con la faccia pulita da hacker nordico e il diritto più chirurgico del secolo, ha frantumato la liturgia tennistica del tempio inglese, schiantando Carlos Alcaraz e con lui un’idea stessa di superiorità tennistica continentale. Risultato finale: 4-6, 6-4, 6-4, 6-4. Tradotto: primo italiano nella storia a vincere Wimbledon. Sì, nemmeno Pietrangeli, nemmeno Panatta. Nessuno, prima.

Nel preciso istante in cui Alcaraz ha affondato il rovescio nella rete, Sinner si è inginocchiato sull’erba come se stesse pregando il Dio dei tornei Slam di certificare l’inverosimile. Ma non c’è stato bisogno di alcuna intercessione divina. Solo chirurgia. Tattica. Freddezza glaciale. E un timing sul rovescio che nemmeno un algoritmo di Google riuscirebbe a replicare con quella coerenza.

Il match ha avuto il sapore della vendetta perfetta. Alcaraz, lo spagnolo esplosivo, l’eroe designato dal marketing ATP, aveva vinto lo scorso anno. Sinner era stato avvisato, brutalmente. Stavolta, invece, è sceso in campo con la sicurezza da CEO in conference call: niente emozioni, solo esecuzione. Il suo linguaggio del corpo era quello di un’azienda quotata: solida, letale, prevedibilmente imbattibile quando serve esserlo. Nessuna sbavatura. Un piano strategico chiuso in borsa il giorno prima.

L’ironia della sorte, o forse della semiotica sportiva, è che il pubblico di Wimbledon, notoriamente più snob di una giuria Michelin, alla fine si è trovato ad applaudire un ragazzo del Sud Tirolo che ha osato non inchinarsi alla narrativa prevista. Non ha sorriso troppo. Non ha pianto. Ha solo vinto. Ha lasciato che fossero gli altri a esplodere.

Twitter (sì, X, ma non fingiamo di usare il nuovo nome) si è incendiato. “Primo italiano della storia a Wimbledon” rimbalzava come un mantra su milioni di schermi. L’account ufficiale del torneo ha postato un “History made” accompagnato da un video con Sinner in slow-motion mentre stringe il trofeo come se fosse un brevetto appena depositato. Il commentatore americano di ESPN lo ha definito “surgical”, quello inglese ha mormorato un “unbelievable calm” come se stesse leggendo un bollettino meteo. Ma sotto sotto, anche i britannici sanno cosa è successo: l’ordine è stato infranto.

La reazione italiana? Apoteosi. I social si sono trasformati in uno stadio olimpico. Su TikTok girano remix con Sinner e l’inno di Mameli sovrapposto a cori da rave balcanico. Su Instagram, persino influencer normalmente dedicati al contouring delle sopracciglia hanno pubblicato storie con “Campione!” a tutto schermo. Perfino i politici, come falchi sul cadavere di una gloria sportiva, hanno iniziato a reclamare la paternità morale della vittoria. Ma Sinner, come sempre, non ha replicato. Lo ha fatto la sua racchetta. E il suo coach, Darren Cahill, che con understatement da serial killer ha dichiarato: “This is just the beginning”.

Tecnicamente, il match ha mostrato un’evoluzione tattica spaventosa. Dove Alcaraz cercava il caos creativo, Sinner imponeva geometrie euclidee. Le sue traiettorie sembravano disegnate con AutoCAD. Nessuna esitazione nei momenti chiave. Il servizio, un tempo punto debole, si è trasformato in arma nucleare: 14 ace, 86% di punti vinti sulla prima. Ma la statistica più disarmante è il linguaggio del corpo: mai un urlo, mai un pugno chiuso. Sinner sembra giocare un altro sport, uno dove l’intelligenza artificiale è già diventata carne.

E a proposito di carne, una curiosità che non troverete su Wikipedia: il match è stato interrotto per diversi minuti a causa di un tappo di champagne sparato da un box VIP. Sinner ha guardato l’arbitro con l’espressione di chi non ha tempo da perdere con il folklore. Alcaraz, invece, è sembrato distratto. Quel dettaglio, minuscolo e quasi surreale, dice molto: la differenza oggi non era solo tennistica, era mentale. Sinner vive in un altro fuso orario emotivo. Fa tutto al millisecondo giusto. Come se avesse il cronometro interno di un ingegnere svizzero.

Le reazioni internazionali oscillano tra l’ammirazione e il panico. Perché se Sinner è davvero questo, allora il dominio latino-sportivo di Alcaraz potrebbe avere vita breve. Wimbledon, simbolo del privilegio sportivo, è stato violato da un ragazzo cresciuto sugli sci e poi migrato verso il tennis come un monaco zen che scopre la guerra. Ha distrutto ogni premessa: non è spagnolo, non è francese, non è anglosassone. È italiano. Ma non l’italiano macchiettistico da Vespa e mandolino. È l’italiano dell’algoritmo. L’italiano del futuro.

A chi si chiede cosa succederà adesso, la risposta è semplice: il tennis cambierà. I ragazzini di oggi inizieranno a copiare non solo il rovescio, ma anche l’attitudine. Il gelo emotivo, la concentrazione assoluta, l’assenza di teatro. Sinner ha creato un nuovo modello: non l’eroe romantico, ma l’eroe performante. Non il gladiatore, ma il programmatore da campo.

Wimbledon ha finalmente un vincitore italiano. Ma il punto vero è che Wimbledon ha un nuovo standard. Uno che viene dal nord dell’Italia, gioca come se fosse fatto di silicio, e non ha alcuna intenzione di essere simpatico.

Perché la storia non la scrivono quelli che fanno spettacolo. La scrivono quelli che vincono. Anche senza sorridere.

Dedicato a Tommasi Rino.