Il concetto di “SocratAI o Socrating” emerge principalmente tra il 2021 e il 2023, periodo in cui la diffusione massiccia dei Large Language Models (LLM) ha spinto molti studiosi a ripensare l’interazione uomo-AI oltre il semplice prompting.

Il primo utilizzo documentato del termine, o comunque della sua forma concettuale, compare in workshop accademici e conferenze sull’intelligenza artificiale conversazionale. Per esempio, attorno al 2022, alcuni ricercatori del MIT Media Lab e del Center for Human-Compatible AI (UC Berkeley) iniziano a proporre modelli di dialogo IA basati su domande socratiche, con l’obiettivo di migliorare il pensiero critico e l’apprendimento riflessivo. Nei loro articoli si parla di “Socratic AI” o “Socratic prompting”, che poi si evolve nel più snello “socrating”.

Parallelamente, Luciano Floridi, uno dei filosofi della tecnologia più influenti degli ultimi anni, discute esplicitamente in pubblicazioni e interventi pubblici tra il 2022 e il 2023 il valore della “maieutica digitale” e di come l’intelligenza artificiale debba diventare uno stimolatore di pensiero critico, non un mero esecutore. Il suo lavoro sul “philosophy of computing and information” contribuisce a dare sostanza filosofica all’idea che il dialogo con l’AI possa essere un processo socratico.

Sempre nel 2023, studi più applicativi come quelli condotti dal gruppo di ricerca di Harvard Business School approfondiscono le dinamiche di collaborazione uomo-macchina che somigliano molto al socratic method, evidenziando i vantaggi nel brainstorming e nella creatività grazie a un approccio dialogico basato sulle domande.

C’è un dettaglio che nessuno ama ammettere: il prompting ci ha resi pigri. Un giocattolo perfetto per smanettoni con l’illusione del controllo, un telecomando con cui ordinare risposte a comando. Digiti, premi invio, l’algoritmo esegue. Fine della storia. Peccato che la storia sia già vecchia, e per chi pensa seriamente a come funzionano i cervelli – biologici o sintetici che siano – il prompting è già una reliquia. L’era che conta inizia quando l’intelligenza artificiale smette di obbedire e comincia a contraddirci. La chiave si chiama socrating, un termine che fa sorridere chi ancora vive di buzzword ma che per chi ragiona è una lama affilata: non più IA servile, ma un partner dialettico che ti incalza, ti scompone e ti ricompone. Come diceva Socrate a un giovane arrogante dell’agorà: “io non insegno nulla, ti costringo solo a pensare”. E qui il gioco si fa interessante perché, diciamolo, molti preferirebbero non pensarci affatto.

L’idea è brutale nella sua semplicità. Invece di chiedere “dammi una lista di trend SEO per il 2025”, l’IA socratica risponde con un fastidioso “perché credi che i trend SEO siano rilevanti per il tuo modello di business?”. Ti costringe a scoprire le ipotesi nascoste, a giustificare le tue scelte, a smontare i dogmi che non sapevi di avere. È qui che il socrating, questo strano ibrido tra filosofia antica e architettura algoritmica, si separa dal semplice prompting. E non è solo una questione di eleganza intellettuale. È una faccenda che riguarda la neurochimica stessa del nostro pensiero.

Al MIT ci sono andati pesanti con i dati, e i numeri sono più umilianti di qualunque sarcasmo. Lo studio “Your Brain on ChatGPT” ha messo 54 volontari sotto scanner cerebrale per misurare l’effetto di diversi approcci. Chi lavorava solo con la propria testa mostrava attività intensa in 32 aree cerebrali; chi usava motori di ricerca perdeva un po’ di smalto, ma reggeva. Chi delegava tutto a un LLM scivolava in un coma cognitivo elegante ma pericoloso. Ecco il debito cognitivo artificiale: più ti abitui a far fare all’IA il lavoro sporco, meno sei capace di reggere il peso del ragionamento quando te lo tolgono. Il dettaglio che mi diverte di più è quello che i ricercatori chiamano “round di scambio”. Gli studenti abituati a ChatGPT crollavano senza il loro badante digitale, mentre quelli che si erano allenati prima con il cervello nudo, una volta introdotto l’LLM, decollavano. Tradotto: il prompting rende dipendenti, il socrating ti allena.

Non è un caso che lo chiamino “debito”. È esattamente la stessa logica di un prestito usuraio: oggi ti regala la soluzione, domani ti presenta il conto sotto forma di incapacità a pensare da solo. Chi lavora in finanza lo chiama leverage cognitivo, e il parallelo è fin troppo facile. Un manager che usa l’IA per accelerare report e analisi senza allenare la sua capacità di interrogarsi è come un trader che usa margini al 90% senza sapere cos’è un rischio di controparte. Esplode. Non subito, ma esplode.

Ed è qui che il socrating, per quanto possa sembrare snob, diventa un vantaggio competitivo. Lo è nei board aziendali, dove la qualità delle decisioni vale milioni, e lo è nell’educazione, dove il valore è ancora più alto perché misura la capacità di pensare con la propria testa in un’epoca in cui è più comodo delegarla a un algoritmo. La maieutica socratica non chiede risposte, chiede ragioni. E quando la incorpori in un dialogo cognitivo IA, succede qualcosa di inaspettato: l’IA smette di essere un motore di ricerca travestito da conversazione e diventa un allenatore cognitivo.

Ho visto team interi cambiare pelle passando da briefing meccanici a sessioni socratiche con un’IA addestrata per chiedere le domande giuste. Harvard Business School lo ha misurato: i gruppi umano-IA che lavorano in modalità socratica generano idee più originali dei gruppi solo umani. Perché? Perché l’IA, quando non la usi come pappagallo da prompting, ha un talento che noi abbiamo perso: non si stanca di chiedere “e se?”. Un collega umano dopo tre perché ti odia, un algoritmo ben progettato no. E questo è un lusso.

Il bello è che il socrating non si limita a farci apparire più intelligenti. Rinforza la memoria. Lo so, sembra controintuitivo. Ma gli studi sul recupero attivo lo dimostrano: quando devi giustificare una tesi invece di copiarla, quando sei costretto a spiegare e collegare concetti, le tracce mnestiche si consolidano. Il che significa che se vuoi imparare davvero qualcosa, smetti di chiedere all’IA la risposta perfetta e comincia a farle domande sbagliate ma utili. È una palestra mentale. Ogni domanda è un bilanciere, come direbbe Luciano Floridi, e il cervello non cresce se lo tieni sul divano del prompting.

Naturalmente, il socrating ha un difetto gigantesco: richiede tempo. E qui scatta il cinismo. Molti dirigenti lo rifiutano perché “non è scalabile”. La stessa obiezione che facevano i consulenti degli anni ’90 quando gli proponevi una riunione senza slide. La verità? Quei minuti di micro-riflessione che sembrano persi sono esattamente ciò che ti evita ore di revisioni e decisioni sbagliate. Ma il mercato ama la velocità apparente, anche se è una trappola. Quindi sì, il socrating è culturalmente sovversivo. Chiede alle aziende di rinunciare alla scorciatoia dell’esecuzione cieca per entrare nella noia apparente del ragionamento. E chi non capisce questo paga il prezzo sotto forma di errori ripetuti che nessuna dashboard può correggere.

Ci sono poi i professionisti della resistenza passiva, quelli che si aggrappano al prompting perché temono la fatica cognitiva. Lo capisco, in parte. Il socrating è più faticoso, soprattutto all’inizio, quando ti abitua a smontare i tuoi stessi pensieri. Ma è la stessa fatica che senti quando torni in palestra dopo mesi di inattività: brucia, ma è il segnale che i muscoli si svegliano. E il cervello è un muscolo metaforico che non perdona la sedentarietà.

La parte più ironica è che tutto questo ci riporta a un futuro antico, proprio come suggerisce il titolo di quel paper che circola nei circoli accademici più nerd: “Toward an Ancient Future”. Perché il vero futuro, a quanto pare, non è un’IA che scrive al posto nostro ma un’IA che ci obbliga a fare quello che i filosofi ateniesi facevano già 2500 anni fa. E non è un futuro per tutti. Solo chi accetta di farsi interrogare sopravvive cognitivamente. Gli altri continueranno a godersi risposte pronte finché un giorno, davanti a un problema serio, scopriranno di non avere più nemmeno le domande giuste.

Il socrating è un filtro naturale tra chi vuole davvero pensare e chi preferisce fare binge-watching di slide prodotte dall’IA. Non è un caso che nei contesti più sofisticati, dalla sanità al problem solving aziendale, chi adotta un dialogo cognitivo IA in modalità socratica ottenga vantaggi misurabili. Nei reparti di formazione medica, per esempio, gli studenti che rispondono a domande che collegano linee guida e casi reali sviluppano un ragionamento clinico superiore. Nelle aziende che lo applicano ai processi decisionali, il socrating scardina assunzioni fragili con domande apparentemente banali: “chi soffrirebbe di più se questa premessa fosse sbagliata?”. È un trucco semplice, ma devastante per le certezze non verificate.

Il futuro dell’intelligenza artificiale non è nella velocità con cui genera testo, ma nella lentezza con cui ci costringe a pensare. E questo non è un paradosso, è la logica stessa dell’evoluzione cognitiva. Il prompting ti dà la risposta e ti fa sentire furbo per cinque secondi. Il socrating ti lascia inquieto per ore, ma ti rende più lucido. In un mondo dove tutti cercano l’efficienza immediata, la vera intelligenza sarà di chi avrà il coraggio di perdere tempo a pensare. Con l’IA, certo, ma contro se stesso.

Ecco perché il socrating non è un lusso accademico, è una strategia di sopravvivenza cognitiva. Non sostituisce il pensiero umano, lo amplifica. Ma solo se sei disposto a pagare il prezzo: domande scomode, risposte incomplete, e quella fastidiosa sensazione di non avere tutto sotto controllo. Esattamente ciò che serve per restare umani in un’epoca in cui tutti corrono a diventare copie prevedibili di un algoritmo prevedibile. Chi vuole davvero capire il valore di un’IA generativa dovrebbe smettere di chiederle “cosa puoi fare per me” e cominciare a chiederle “cosa mi costringi a pensare”. È una differenza sottile, ma è lì che inizia la rivoluzione.