C’è qualcosa di irresistibilmente ironico nel fatto che una delle bandiere della privacy online debba oggi vendere l’illusione di un mondo più pulito semplicemente aggiungendo un interruttore “show” e “hide” alle sue ricerche immagini. DuckDuckGo, che per anni ha costruito la propria narrativa su un web libero dal tracciamento aggressivo, ora si trova a fare i conti con l’altra grande ossessione contemporanea, l’invasione dell’intelligenza artificiale generativa, quell’oceano di “slop” digitale che sta trasformando Internet in un mercato delle pulci di contenuti sintetici. Non è un caso che la mossa arrivi dopo un’ondata di proteste di utenti che, cito, non riescono più a trovare quello che cercano perché soffocati da immagini palesemente artificiali. Il nuovo filtro, una sorta di scialuppa di salvataggio nell’oceano del generative spam, si attiva dal tab Immagini con un comodo menu a tendina battezzato con un geniale quanto banale “AI images”. Si può scegliere se vedere o non vedere questo tipo di contenuti, e persino bloccarli globalmente nelle impostazioni. Come dire, libertà di scegliere, ma entro i confini disegnati da un algoritmo.
La parte più gustosa di questa storia non è però la funzione in sé, quanto la modalità con cui DuckDuckGo l’ha implementata. Il filtro si basa su blocklist open source, fra cui la famigerata “nuclear list” di uBlockOrigin e l’enorme “Huge AI Blocklist” di uBlacklist. Tradotto in linguaggio meno tecnico significa che la piattaforma non sta realmente analizzando la natura delle immagini in tempo reale, ma delega a blacklist esterne e manualmente curate la responsabilità di segnalare cosa sia “vero” e cosa no. E qui arriva il cortocircuito interessante per chi conosce un minimo di dinamiche SEO e intelligenza artificiale. Il problema non è tanto bloccare le immagini generate, quanto decidere chi definisce la qualità e l’autenticità del contenuto. Se un algoritmo generativo diventa abbastanza sofisticato da sfuggire a queste blocklist, cosa vedranno gli utenti che si illudono di avere un filtro pulito.
C’è poi un dettaglio sottile, quasi comico, che rivela la natura profondamente reattiva di questa iniziativa. La stessa DuckDuckGo, nel post ufficiale su X, ha usato l’esempio di un baby peacock. Per chi non mastica gossip tecnologico, l’allusione è un colpo basso diretto a Google, che l’anno scorso si è trovato al centro di un piccolo scandalo perché mostrava quasi esclusivamente immagini generate da AI quando qualcuno cercava foto di un pulcino di pavone. Quella vicenda è diventata il simbolo di un web in cui l’originale reale è stato letteralmente rimpiazzato da un suo surrogato sintetico, e la memoria visiva collettiva viene riscritta in modo algoritmico senza che nessuno se ne accorga.
Qualcuno potrebbe dire che DuckDuckGo stia semplicemente rispondendo a una domanda del mercato, e sarebbe tecnicamente corretto. Ma è proprio questa mentalità a rendere la questione interessante. Filtrare l’intelligenza artificiale non è un gesto di ribellione culturale, è un’operazione di marketing che mira a posizionare il brand come il rifugio sicuro per chi si sente nauseato dalla proliferazione di contenuti sintetici. In altre parole, DuckDuckGo capitalizza il malcontento degli utenti contro lo stesso fenomeno che sta permettendo al motore di ricerca di rimanere rilevante in un panorama dominato da Google e Bing.
C’è una componente quasi distopica in questa nuova forma di controllo, che finge di restituire autonomia mentre rafforza l’idea che siano sempre altri a decidere cosa possiamo vedere. Perché anche se la promessa è quella di un web più “pulito”, il rischio è che questi filtri diventino un nuovo strato di censura percepita come tutela, una sorta di paternalismo algoritmico che offre la sensazione di essere più intelligenti degli altri solo perché si è cliccato “hide AI images”. Eppure, se lo scenario continuerà a evolvere nella direzione attuale, l’unica vera opzione sarà accettare che la distinzione tra immagini reali e sintetiche diventerà irrilevante, non perché non ci importi più, ma perché la realtà stessa sarà progressivamente ridisegnata da chi possiede il potere di addestrare i modelli. Chi pensa che un interruttore possa davvero fermare questa marea probabilmente crede ancora che l’email sia più sicura della posta tradizionale solo perché c’è scritto “protetta dalla crittografia”.