C’è una regola non scritta nell’industria delle costruzioni: nulla cambia finché non crolla qualcosa. Eppure, in questo preciso momento, il vero terremoto non arriva dal cemento che si sgretola ma dai macchinari che iniziano a muoversi senza chiedere permesso a un operaio in carne e ossa. Bedrock Robotics, startup californiana spuntata dal nulla con il classico tempismo da predatore, ha appena raccolto 80 milioni di dollari per infilare intelligenza artificiale dentro escavatori e bulldozer, promettendo cantieri che lavorano 24 ore al giorno, sette giorni su sette, senza il tipico caffè delle 10 e la pausa sigaretta delle 11. Boris Sofman, il CEO che parla come un ingegnere ma ragiona da stratega, l’ha detto senza troppi giri di parole: “La forza lavoro è finita, i cantieri si svuotano e la domanda esplode. L’automazione non è un lusso, è l’unica opzione rimasta”.

Chi si ostina a pensare che questo sia l’ennesimo giocattolo da Silicon Valley farebbe bene a guardare i numeri. Mezzo milione di lavoratori in meno nel settore, il 40% vicino alla pensione, 400.000 posizioni aperte che nessuno vuole. Se i ponti crollano e le case non si costruiscono, non è solo perché mancano i soldi ma perché mancano braccia disposte a sporcarsi di polvere e grasso. Gli Stati Uniti si stanno letteralmente bloccando per mancanza di manodopera, e quando un’intera economia si inceppa, arriva qualcuno disposto a sostituire l’uomo con qualcosa che non si lamenta e non chiede straordinari. La robotica per costruzioni non è più un esperimento da fiera dell’innovazione, è un nuovo modello industriale.

L’idea di Bedrock è quasi offensiva nella sua semplicità. Prendono un escavatore tradizionale, lo riempiono di sensori, camere e un cervello di machine learning capace di mappare terreni sconnessi come se fosse Google Maps in versione hardcore, e lo lasciano scavare senza che un umano metta piede in cabina. Il loro Bedrock Operator è una piattaforma software che aggiorna in tempo reale i project manager, calcola rischi e ottimizza il flusso di lavoro. È lo stesso principio che ha reso Uber un impero: togli l’attrito umano, rendi ogni passaggio tracciabile e lascia che la macchina faccia il lavoro sporco. Chi pensa che questo eliminerà posti di lavoro non ha capito la logica del capitalismo contemporaneo. Sofman ha un’argomentazione che suona quasi marxista ma è terribilmente pragmatica: “Ogni progetto fermo per mancanza di manodopera è un progetto che non produce valore. Se lo sblocchi, generi altri lavori, fai ripartire la produzione, abbassi i costi delle case e alimenti l’intera filiera”.

E qui entra la parte interessante. Perché non si tratta solo di efficienza. La sicurezza è l’argomento killer che nessun sindacato riesce a contestare senza sembrare ipocrita. Nel 2022, 199 operai sono stati uccisi da macchinari pesanti negli Stati Uniti. Aggiungiamo amputazioni, cadute da cabine e le solite tragedie che finiscono in rapporti freddi da avvocati industriali. Se un robot sbaglia e distrugge un bulldozer, l’assicurazione paga. Se un uomo sbaglia, qualcuno finisce sotto una tonnellata di acciaio. Una macchina che lavora senza sonno, senza distrazioni e con algoritmi che calcolano rischi al millisecondo è il sogno di ogni assicuratore e l’incubo di chi pensa ancora che “l’esperienza sul campo” sia insostituibile.

La automazione nei cantieri è però solo l’inizio. Chi segue questo mercato sa che non è Bedrock l’unico player. Built Robotics ha già i suoi Exosystem per scavare senza operatori, SafeAI converte camion da cava in mezzi autonomi e Caterpillar muove milioni di tonnellate di materiale con flotte di camion senza conducente. John Deere, l’agricoltore diventato tech company, sta testando bulldozer elettrici e camion autonomi. Questa corsa non è una moda: il mercato globale della robotica per costruzioni è stimato a 8 miliardi di dollari entro il 2033. Chi crede ancora che questi numeri siano bolle speculative non ha visto cosa succede quando un progetto da miliardi di dollari viene fermato perché mancano cinquanta escavatoristi.

Certo, Bernie Sanders tuona contro i CEO “che se ne fregano dei lavoratori” e i talk show si riempiono di apocalittici che vedono robot rimpiazzare esseri umani in ogni fabbrica. Ma c’è un dettaglio che nessuno ama sottolineare: per essere sostituiti bisogna esserci, e qui semplicemente non ci sono abbastanza operai disposti a lavorare dodici ore sotto il sole per costruire strade e centrali elettriche. È un paradosso: i sindacati combattono per salvare posti che nessuno vuole. Sofman ha ragione quando dice che ogni progetto sbloccato crea nuovi impieghi a monte e a valle della filiera, ma la narrativa del “robot cattivo” funziona meglio per chi vive di slogan.

Il vero punto è che questa trasformazione non è più reversibile. Ogni bulldozer che lavora 24 ore al giorno senza pausa è una lezione di economia brutale: chi può costruire di più e più velocemente vince. La tecnologia non si ferma a chiedere permesso, soprattutto quando l’intero sistema edilizio di un paese è in ginocchio. E c’è un dettaglio che molti sembrano ignorare. I robot non vanno in sciopero, non contrattano salari e non hanno sindacati. Non è un caso che gli investitori stiano riversando milioni in aziende come Bedrock: è un gioco a somma positiva per chi controlla le macchine, e a somma zero per chi sperava che la scarsità di manodopera facesse salire i salari.

La vera ironia? I cantieri autonomi potrebbero finire per rendere le case più economiche, le infrastrutture più sicure e perfino creare nuovi lavori altamente qualificati nella manutenzione e nella gestione dei macchinari autonomi. Ma questa non è una storia che fa vendere giornali, è solo il modo in cui la tecnologia vince sempre: non con grandi annunci, ma con escavatori che scavano mentre noi stiamo dormendo.