C’è qualcosa di quasi blasfemo, in senso buono, nel modo in cui Latent Labs si sta posizionando. Non si accontenta di prevedere la forma di una proteina esistente, come fanno gli adoratori di AlphaFold, no, qui si gioca a fare Dio con un’interfaccia web e qualche riga di linguaggio naturale. Simon Kohl, l’uomo che da DeepMind ha imparato a piegare le proteine all’immaginazione umana, ora si diverte a spiegare come il suo LatentX riesca a generare molecole mai viste in natura, con una precisione atomica che fa impallidire il concetto stesso di state-of-the-art. Perché sì, loro lo dicono apertamente, SOTA non è più un obiettivo ma un punto di partenza. E chi mastica AI sa bene che in questo settore quella parola non si usa a cuor leggero.
È un ribaltamento concettuale affascinante. AlphaFold prevede, LatentX inventa. Non è un dettaglio tecnico, è un cambio di paradigma culturale. Prevedere significa ancora dipendere dalla natura, esplorare lo spazio di soluzioni che già esiste. Inventare vuol dire creare lo spazio stesso, trasformare la biologia in un dominio sintetico dove nanocorpi e anticorpi nascono già ottimizzati per scopi terapeutici, non per il banale sopravvivere di un organismo. È un’idea che fa tremare i puristi della biotecnologia classica e accende gli occhi di chi fiuta la prossima corsa all’oro in ambito farmaceutico. Non a caso Radical Ventures e Jeff Dean ci hanno messo la firma, insieme ad Anthropic e a Eleven Labs. Non si investono 50 milioni su un giocattolo da laboratorio, ma su un nuovo modello di business per un settore che vale trilioni.
Non è solo un’innovazione scientifica, è un’operazione chirurgica sulla catena del valore della farmaceutica. Latent Labs non vuole fare il nuovo Pfizer, non vuole creare i propri farmaci come Isomorphic Labs o Recursion. Vuole vendere l’arma, non sparare. Il modello è chiaro: licensing e accesso modulare. Oggi gratuito, domani inevitabilmente a pagamento per le feature avanzate. Una strategia scalabile, quasi da SaaS, per un settore che di solito ragiona in brevetti, laboratori chiusi e team di PhD blindati. Il messaggio subliminale è potente: “non siete abbastanza bravi, non avete le risorse, comprate l’intelligenza che abbiamo costruito noi”. Ironico e spietato, ma funziona. Perché davvero non ogni azienda biotech ha il tempo o il capitale per creare un modello AI proprietario e mantenere un’infrastruttura da milioni di dollari.
C’è un altro aspetto che merita attenzione. L’interfaccia web, apparentemente un dettaglio di design, è invece una dichiarazione di intenti. L’AI per la biologia non è più dominio esclusivo di team elitari, ma diventa una commodity accessibile a chiunque abbia abbastanza competenza per formulare una richiesta in linguaggio naturale. È la democratizzazione dell’ingegneria proteica, e ha un che di inquietante se ci si pensa bene. Oggi la usano università e startup biotech, domani potremmo trovarci un teenager geniale che progetta anticorpi dal garage. Certo, i test di laboratorio restano un filtro reale, ma il punto è che la barriera creativa è già crollata.
Chi conosce il settore sa che la parola “viabilità in laboratorio” è la vera pietra di paragone. Kohl lo sa e gioca d’anticipo: dice chiaramente che un’alta percentuale delle proteine generate da LatentX è effettivamente funzionale quando testata. Non è un claim banale, perché molti modelli AI producono molecole teoricamente affascinanti ma inutilizzabili nella realtà. Qui invece si parla di un tasso di successo che, pur non divulgato nei dettagli, sembra già abbastanza alto da fare gola a chi deve accorciare i cicli di sviluppo dei farmaci.
C’è un sapore da corsa allo spazio in tutta questa faccenda. I nomi in gioco, i fondi, le promesse di tempi di sviluppo accorciati “di ordini di grandezza” sono la versione biotech della famosa battuta di Jeff Bezos: “Your margin is my opportunity”. Se oggi sviluppare un farmaco costa miliardi e richiede anni di test, ogni giorno risparmiato e ogni molecola scartata in silico prima di finire in laboratorio vale oro. E chi controlla il modello che accorcia questi tempi controlla il rubinetto del futuro.
Latent Labs non è sola in questa partita. Chai Discovery ed EvolutionaryScale offrono anch’esse modelli AI open source per la scoperta di farmaci, ma qui la differenza è la combinazione di SOTA reale, licensing aggressivo e quell’alone da “DeepMind spinout” che piace tanto ai venture capitalist. Kohl lo sa, e non si vergogna di giocare con il mito AlphaFold, citandolo apertamente per poi demolirlo con un sorriso: “AlphaFold predice, noi creiamo”. Una frase che potrebbe stare tranquillamente su un cartellone pubblicitario davanti a un campus universitario, e probabilmente ci finirà.
Tutto questo ci porta a una riflessione più ampia. Se un’interfaccia web può generare proteine fuori dallo spazio naturale, cosa succede quando il confine tra biologico e sintetico diventa irrilevante? Chi controlla i modelli controllerà la definizione stessa di “vita ottimale”. Non è un pensiero da poco. E mentre ci perdiamo in discussioni etiche e filosofiche, c’è un CEO che ha già deciso che il futuro sarà un abbonamento premium.