La rivoluzione silenziosa che sta umiliando le assicurazioni sanitarie indiane

Even Healthcare è una di quelle storie che fanno impallidire gli analisti troppo abituati a valutare startup sanitarie con i soliti parametri di “unit economics” e tabelle Excel prive di visione. Fondata dall’imprenditrice italiana Matilde Giglio, il progetto nasce come un atto di ribellione contro l’inerzia cronica del sistema sanitario indiano, un colosso da 372 miliardi di dollari che ogni anno spinge 60 milioni di persone nell’indebitamento sanitario, spesso per interventi chirurgici che nel mondo occidentale considereremmo ordinari. La sua missione è quasi provocatoria nella sua semplicità: democratizzare l’accesso a cure mediche di qualità a un costo che non costringa la popolazione a scegliere tra salute e sopravvivenza economica. Ed è proprio questa tensione tra un mercato iniquo e un modello radicalmente inclusivo che rende Even un caso di studio più interessante delle ennesime healthtech “a metà” che si limitano a qualche app di telemedicina.
Il cuore dell’innovazione è il modello payvider, un ibrido spietatamente efficiente tra pagatore e fornitore di servizi, che smonta il tradizionale schema assicurativo privato indiano basato su premi elevati e coperture limitate. Con circa 200 euro all’anno (350-400 per gli over 60), Even Healthcare offre un pacchetto che va oltre la semplice copertura ospedaliera: prevenzione, diagnostica avanzata, gestione proattiva delle patologie croniche e accesso illimitato a consulti e test. È un sistema verticalmente integrato, sostenuto da una rete mista di cliniche proprietarie e partner selezionati, che mira a ridurre l’ospedalizzazione anticipandone le cause. Un approccio chirurgico nella raccolta e nell’uso dei dati: ogni paziente ha un profilo di rischio personalizzato, continuamente aggiornato attraverso algoritmi di intelligenza artificiale che incrociano sintomi, cronologia clinica e pattern predittivi. In un mercato in cui la diagnosi errata è una piaga diffusa, la promessa di Even è quasi audace: prevenire prima di curare, e farlo a un prezzo che il ceto medio indiano può sostenere senza dissanguarsi.
La storia di Even non sarebbe così interessante senza il pedigree dei suoi investitori. Peter Thiel, che di solito fiuta opportunità laddove gli altri vedono solo complessità, ha puntato su Matilde Giglio attraverso il suo Founders Fund, insieme a Khosla Ventures, per una raccolta complessiva di oltre 60 milioni di dollari in meno di tre anni. Per un Paese come l’India, dove anche le healthtech più promettenti si fermano spesso a round modesti, la cifra è un segnale forte. Thiel, notoriamente allergico ai modelli convenzionali, ha apprezzato la scalabilità insita nell’approccio payvider e la strategia tecnologica spinta, che non si limita a “fare la solita app” ma costruisce infrastruttura sanitaria reale, come dimostra l’apertura del primo ospedale a Bengaluru. Un investimento in mattoni e software, non solo in linee di codice.
L’intelligenza artificiale è il vero motore nascosto dell’intero sistema. Even non si limita a utilizzare algoritmi per qualche raccomandazione generica, ma li ha resi parte integrante del processo decisionale clinico. L’assistente AI “Even Steven”, accessibile via WhatsApp (scelta strategica in un Paese dove l’app domina la comunicazione quotidiana), fornisce valutazioni personalizzate basate su dati clinici verificati, riducendo l’ansia e l’incertezza tipica dei pazienti che si affidano a ricerche su Google. In partnership con Healthily, Even ha integrato un symptom checker validato da esperti, puntando a contrastare quella che è forse la più subdola minaccia per la salute pubblica: l’infodemia sanitaria. L’obiettivo non è solo curare ma educare, spostando il paziente da utente passivo a consumatore consapevole di servizi sanitari, il tutto senza la condiscendenza tipica di molte iniziative occidentali di “digital health education”.
Il contesto in cui questa innovazione si inserisce è altrettanto significativo. La sanità globale è in piena metamorfosi, sospinta da un’accelerazione tecnologica che ha reso plausibile ciò che fino a pochi anni fa sembrava fantascienza: monitoraggio continuo a basso costo, algoritmi predittivi per la prevenzione delle malattie e consulti virtuali che possono sostituire, in parte, l’esperienza fisica del medico. L’India, con la sua combinazione esplosiva di popolazione giovane, crescente classe media e sistema pubblico inefficiente, è il terreno ideale per testare soluzioni che in Occidente si scontrerebbero con barriere regolatorie e corporative. Qui, l’assenza di un welfare sanitario esteso non è solo un problema sociale ma una finestra di opportunità per modelli radicalmente nuovi.
L’ambizione di Even è di ridefinire la percezione stessa della sanità privata in India, spostandola dal concetto elitario di “assicurazione premium” a quello di servizio essenziale, quasi quotidiano. C’è una certa ironia nel fatto che un’italiana, proveniente da un Paese dove la sanità pubblica è data per scontata, stia ridisegnando l’accesso alle cure in uno dei mercati più complessi del mondo. Ma forse proprio questo distacco culturale è la sua arma segreta: non è schiava delle logiche locali, e può permettersi di importare un modello più europeo, adattandolo senza i compromessi che frenano gli operatori interni.
Guardando i numeri, la crescita è rapida e conferma che la scommessa sta funzionando. Centinaia di migliaia di iscritti hanno già aderito al servizio, attratti da un mix di economicità e affidabilità che nessuna assicurazione tradizionale riesce a replicare. E se l’apertura di nuovi ospedali e cliniche suggerisce un’espansione aggressiva sul territorio, il vero valore di Even risiede nei dati. Ogni consulto, ogni esame, ogni interazione con Even Steven alimenta un database che diventa progressivamente più preciso nel predire e prevenire patologie, creando un vantaggio competitivo difficilmente replicabile da operatori meno integrati.
In questo senso, Even Healthcare non è solo una startup sanitaria ma un esperimento sociotecnologico su larga scala, con implicazioni che vanno oltre l’India. È la dimostrazione che tecnologia, capitale e visione imprenditoriale possono riscrivere le regole di un settore che sembrava impermeabile al cambiamento. Matilde Giglio, in fondo, sta facendo quello che molti governi non hanno il coraggio o la capacità di fare: trasformare la salute da privilegio costoso a servizio sostenibile e, soprattutto, predittivo. E se qualcuno si chiede se un modello del genere potrà funzionare anche in mercati occidentali, la risposta è tanto ovvia quanto provocatoria: quando l’efficienza vince sulla burocrazia, il cambiamento diventa inevitabile.