Figma Make è uscito ufficialmente dal recinto dorato della beta, spalancando le porte a tutti gli utenti della piattaforma. È l’equivalente di un colpo di frusta nel mondo degli strumenti di sviluppo assistito dall’intelligenza artificiale. Chiunque, con o senza un briciolo di competenza in codice, può ora chiedere a una macchina di creare un’app funzionante partendo da una semplice descrizione testuale. Ti sembra familiare? Certo, l’aria di famiglia con Google Gemini Code Assist e Microsoft GitHub Copilot è evidente. Ma non farti ingannare dalle somiglianze superficiali. Qui la differenza non è solo nel DNA del prodotto, ma nell’approccio quasi spregiudicato con cui Figma sta invadendo un territorio che fino a ieri era monopolio degli sviluppatori.

Fino a poche settimane fa Figma Make era un privilegio riservato ai clienti “Full Seat”, quelli disposti a sborsare per accedere a ogni angolo dell’ecosistema Figma. Ora anche gli utenti Starter, View, Collab e persino Dev possono mettere le mani su questa magia algoritmica, con un caveat che suona quasi come una provocazione: puoi giocare, ma se vuoi pubblicare i tuoi capolavori devi pagare. È la classica mossa da “prima dose gratis”, che il marketing digitale conosce bene e che in questo caso suona ancora più audace, perché non parliamo di un banale tool di image editing, ma di un generatore di prototipi che potrebbe, a lungo termine, ridurre drasticamente la dipendenza dagli sviluppatori umani per il design di app e interfacce. In pratica, ti fanno assaggiare il potere divino della creazione software, ma ti ricordano che il paradiso ha un biglietto d’ingresso.

Il vero colpo da maestro di Figma Make, però, non è nella capacità di generare codice su comando. Quello ormai lo fanno in tanti. La differenza è che qui puoi caricare un’immagine, un layout Figma già esistente o persino un concept scarabocchiato, e dire all’AI: “Ecco, fallo così, ma vivo e interattivo”. Vuoi un music player animato con il font giusto e il testo allineato al pixel? Basta scriverlo, o modificarlo con ulteriori prompt. Il controllo manuale non è scomparso, ma è diventato quasi opzionale, relegato a un rifinitore finale per maniaci della precisione. È un dettaglio tecnico che, tradotto in business, significa solo una cosa: riduzione dei tempi di sviluppo e abbattimento dei costi, con il risultato che chiunque abbia un’idea e un minimo di gusto estetico può buttare sul mercato un prototipo credibile in poche ore. “Democratizzazione del design”, la chiamano. Io la chiamo “outsourcing del talento” all’AI, e non sono sicuro che ai designer tradizionali farà piacere.

Non è un caso che Figma abbia orchestrato il lancio di Make insieme ad altri giocattoli basati su intelligenza artificiale. Il tool Make and Edit, che genera o manipola immagini partendo da descrizioni testuali, e la funzione di upscaling per immagini sgranate completano il quadro di un ecosistema che punta chiaramente a diventare la spina dorsale creativa del web 3.0. È come se Figma avesse deciso di posizionarsi tra Adobe e OpenAI, rubando all’uno la fedeltà dei designer e all’altro la narrazione da “intelligenza creativa definitiva”. E ci sta riuscendo, perché ha qualcosa che gli altri non hanno: un’interfaccia che i creativi già amano e un brand che evoca agilità più che burocrazia.

La vera partita, però, si gioca sul fronte dei cosiddetti AI credits. Figma ha introdotto un sistema a crediti che suona tanto come il preludio a un’economia interna più aggressiva. Gli utenti Full Seat, per ora, godono di accesso illimitato, ma solo “per ora”, come specificato con un sorriso sornione nel comunicato ufficiale. Gli altri, invece, devono accontentarsi di quote limitate, destinate “a cambiare”. Tradotto dal linguaggio corporate: se vuoi lavorare seriamente con l’AI di Figma, preparati a mettere mano al portafoglio. E questo non è necessariamente un male. Una metrica a crediti spinge gli utenti a riflettere sul valore reale di ciò che creano, separando gli amatori dagli operatori professionali. O forse è solo un altro modo per monetizzare la dipendenza.

Figma Make non è solo un gadget per hipster del design. È l’annuncio, neanche troppo velato, di un futuro in cui l’idea di “scrivere codice” sarà sempre più irrilevante per il 90 per cento delle applicazioni consumer. Oggi ci limitiamo a descrivere un’app, domani forse basterà pensare a un’interfaccia e lasciarla comparire magicamente sullo schermo. La linea di demarcazione tra designer, sviluppatore e imprenditore continuerà a sfumare, e i vincitori saranno quelli che sapranno parlare meglio all’AI, non quelli che sanno scrivere il loop perfetto in JavaScript. In altre parole, la nuova alfabetizzazione non è più imparare il linguaggio delle macchine, ma saper formulare prompt che le macchine capiscono al primo colpo.

La domanda è se questa democratizzazione non finirà per uccidere il gusto. Perché quando chiunque può generare un prototipo in 10 minuti, il rischio è l’invasione di app brutte, ridondanti e irrilevanti. È un déjà vu già visto con i blog e i social media. Ma, d’altra parte, chi se ne importa? L’economia dell’attenzione premia la velocità, non la perfezione. E Figma Make, oggi, è l’arma più veloce in circolazione.