Agentic AI frameworks, protocols, and tools
Amazon Web Services e il nuovo ordine degli agenti AI: come AWS sta progettando il crollo definitivo dello stack software tradizionale
Scordatevi microservizi, API RESTful e DevOps come li conoscete. Amazon Web Services ha appena sganciato un tomo da oltre 80 pagine che, tra le righe, è molto più di una guida tecnica: è un manifesto. Un piano d’azione su come disintegrare pezzo per pezzo l’architettura software tradizionale, sostituendola con un ecosistema di agenti AI cloud-native, autonomi e interconnessi. Il titolo poteva essere tranquillamente “come costruire la prossima era del software senza scrivere software”. Ma loro, con il tipico understatement da colosso cloud, hanno preferito chiamarla una “guida”. Certo.
Questa bibbia per architetti del nuovo ordine digitale è, ovviamente, centrata sull’universo AWS. Ma al di là dell’ovvia promozione di strumenti come Bedrock Agents e Strands, il documento rivela qualcosa di più profondo: una visione coerente, pericolosamente ambiziosa e (cosa più rara) già implementabile. Una roadmap per sostituire il codice con intelligenza, gli stack con flussi dinamici e i software con entità cognitive persistenti.
La keyword dominante qui è agenti AI, mentre le correlate semantiche su cui Google SGE farà volentieri banchetto sono cloud-native AI e architetture agentiche. E l’odore nell’aria? Quello del sangue di interi reparti IT che stanno per diventare obsoleti.
Il cuore della guida pulsa intorno a framework come LangGraph, CrewAI, AutoGen e soprattutto Strands, il framework agentico made in AWS. Qui non si parla più di orchestrazione di microservizi ma di grafo di agenti cognitivi che collaborano secondo logiche emergenti, regolati da protocolli inter-agent come MCP (Multi-Agent Communication Protocol) o A2A (Agent-to-Agent). Quello che oggi sembra un esperimento da laboratorio AI, viene invece raccontato come una nuova normalità. E AWS ha già pronti gli strumenti per metterla in produzione, con tanto di scaffolding per la memoria, policy di sicurezza granulari e logging integrato via CloudWatch.
Chi si aspetta il solito whitepaper promozionale verrà destabilizzato. Questa guida non è scritta per i CMO in cerca di hype da pitch. È un manuale operativo per CTO, solution architect e AI engineer che devono far funzionare davvero queste cose. Dentro ci sono flowchart, snippet di codice, scenari enterprise e considerazioni molto poco markettare su costi, latenza, sicurezza e deployment. In pratica: il contrario di quella poltiglia da conferenza che puzza di Gartner e slide animate.
AWS non fa giri di parole. Vuole che pensiate agli agenti AI come sostituti reali di componenti software. Non plugin o feature. Protagonisti. Soggetti. Entità autonome capaci di collaborare in ambienti distribuiti, mantenere stato, apprendere, adattarsi e soprattutto… non crashare dopo 5 richieste concorrenti. E per farlo, serve una nuova grammatica. Perciò la guida dedica ampio spazio ai protocolli di comunicazione agentica: MCP e A2A. Qui si gioca una partita simile al TCP/IP degli anni ’90, ma per l’intelligenza artificiale. Chi controlla il protocollo, controlla l’infrastruttura cognitiva del futuro.
Non poteva mancare la sezione sicurezza. Ma scordatevi i soliti discorsi sul “principio del minimo privilegio”. Qui si parla di autorizzazioni agentiche scoping-aware, audit trail persistenti e sandboxing cognitivo. Cosa significa? Che ogni agente AI ha le proprie credenziali, capacità limitate, controllo transazionale e monitoraggio comportamentale via LangFuse, il nuovo alleato di AWS per osservabilità LLM-aware. Non è solo un SIEM potenziato: è una black box per cervelli artificiali. Finalmente qualcuno ha capito che non puoi lasciare un agente AI a interagire con l’ERP senza sapere esattamente cosa ha chiesto, a chi, perché, e con quali dati.
La parte più interessante, per chi vive con una mano sul terminale e l’altra sul budget, è quella dedicata alla strategia di tool adoption. AWS mappa chiaramente tre categorie: tool basati su protocolli, strumenti nativi dei framework e meta-tool trasversali. Dentro ci stanno da LangChain a Dust, passando per agentgraph e memory slots condivisi. In pratica, un’architettura di strumenti che permettono agli agenti non solo di comunicare ma di costruire workflow dinamici, adattabili al contesto. Un livello di astrazione che fa impallidire anche il più sofisticato orchestratore Kubernetes.
Non mancano esempi concreti. Dalla supply chain automatizzata alla customer experience reattiva. Il tutto orchestrato da agenti che agiscono, si consultano, memorizzano, apprendono e riallineano le proprie policy in tempo reale. Addio job schedulati e batch notturni. Benvenuti agenti autonomi che dialogano via API semantiche, scatenando effetti domino attraverso stack distribuiti in tempo reale. E no, non si tratta di futurismo. Alcuni di questi casi sono già in produzione.
AWS è lucidamente cinica: spinge una visione dove non serve più orchestrare servizi, ma abilitare capacità. Non serve più disegnare interfacce, ma definire obiettivi. Gli agenti si occuperanno del come. Il vostro team di sviluppo? Probabilmente passerà più tempo a scegliere il giusto protocollo di comunicazione tra agenti che a scrivere codice. O almeno, questo è ciò che Bezosland si augura.
Certo, il rischio è quello di costruire castelli cognitivi su fondamenta ancora ballerine. I framework sono in beta, i protocolli non standardizzati, le metriche di valutazione ancora soggettive. Ma proprio qui sta il fascino e la pericolosità della guida AWS: non dà risposte definitive, ma mostra come le domande stiano cambiando. E se sei un CTO ancora ancorato a pipeline CI/CD, microservizi containerizzati e chiamate RESTful, preparati. I giorni della tua architettura stanno per finire. Gli agenti stanno arrivando. E stavolta non puoi nemmeno monitorarli con Prometheus.
Chi legge attentamente il documento capisce che il vero gioco non è sostituire pezzi di software con IA, ma ripensare cosa significhi “applicazione” in un mondo dominato da entità cognitive distribuite. Le applicazioni non saranno più monoliti o servizi distribuiti ma spazi cognitivi, popolati da agenti interoperabili che collaborano, apprendono e si organizzano in maniera semi-autonoma. Se vi sembra esoterico, ripensate al web nel 1995. Anche quello sembrava poco pratico.
La verità, nuda e cruda, è che AWS sta cercando di diventare lo standard operativo dell’intelligenza agentica. Non si accontenta di fornire cloud infrastructure: vuole essere il layer semantico della prossima era computazionale. E per farlo, ha capito che deve offrire agli architetti non solo tool, ma linguaggi, protocolli e soprattutto un nuovo paradigma mentale. Se convincerà o meno i decision maker a seguirla in questa rivoluzione silenziosa, sarà una questione di tempi. Ma il messaggio è chiaro: o costruite agenti, o sarete sostituiti da chi li costruisce.
Chi guida la trasformazione digitale oggi, deve leggere questo documento. Non per implementarne ogni riga, ma per comprendere dove stanno andando i colossi del cloud. Perché mentre molti ancora parlano di AI come feature, AWS la sta progettando come infrastruttura. E chi controlla l’infrastruttura, controlla il futuro.