Sam Altman non costruisce alleanze, le orchestra come un direttore d’orchestra indemoniato. Quando OpenAI ha annunciato due nuovi modelli di ragionamento a pesi aperti (open-weight), capaci di competere con la sua stessa linea o-series, il vero colpo di scena è arrivato subito dopo: Amazon Web Services li renderà disponibili a partire da martedì su Bedrock e SageMaker. Chi mastica intelligenza artificiale sa che questa è una prima volta storica. Fino a ieri, AWS era la casa degli outsider: Claude di Anthropic, Mistral, DeepSeek, Cohere. Ma non OpenAI. Mai OpenAI.
Questo accordo non è solo un aggiornamento tecnico. È un’arma geopolitica nel cyberspazio dell’AI generativa. Per la prima volta, OpenAI dà il proprio sigillo ufficiale ad Amazon per distribuire i suoi modelli, seppure in versione open. Non si tratta di un leak camuffato da licenza open source su Hugging Face. È un invito formale a banche, assicurazioni, aziende farmaceutiche, governi e multinazionali ad accedere all’intelligenza marchiata Altman direttamente da Bedrock. Una benedizione pubblica, condita con una licenza Apache 2.0 e il sorriso smagliante di Dmitry Pimenov, product lead del team modelli di OpenAI.
Nel frattempo, Microsoft mastica amaro. Sebbene Azure rimanga, almeno ufficialmente, il partner cloud di riferimento per OpenAI, la relazione mostra evidenti crepe. I negoziati per rinegoziare l’accordo strategico sono in corso, e l’azienda di Redmond assiste impotente a un teatrino che sembra scritto da un commediografo dell’antica Roma. L’alleato più potente dell’AI company più osservata al mondo si trova ora a dover condividere le attenzioni del suo partner con il rivale più pericoloso nel cloud enterprise. Andy Jassy, CEO di Amazon, aveva bisogno disperatamente di una vittoria in questo campo, e Altman gliel’ha servita con una fiamma ossidrica.
Nell’ultima earnings call, gli analisti finanziari hanno martellato Jassy come se fosse il CEO di una startup in crisi. Le domande erano tutte una variazione sul tema “State perdendo la guerra sull’AI?”. JPMorgan e Morgan Stanley non hanno usato mezzi termini, incalzando il CEO sul perché Microsoft e Google stiano crescendo più in fretta nel settore cloud. La risposta, una filippica tagliente, includeva un’affermazione quasi comica: “Il secondo player ha circa il 65% della dimensione di AWS”. Un’autocelebrazione che ha il sapore del classico “non importa chi vince, io sono comunque più grosso”.
Ma le dimensioni non contano più. Conta chi riesce ad attrarre i modelli migliori. Oracle, ad esempio, si è assicurata un accordo da 30 miliardi l’anno con OpenAI per offrire data center dedicati. Trenta miliardi. Più di quanto OpenAI spende complessivamente con tutti gli altri fornitori cloud messi insieme. Fino a ieri, AWS era fuori da qualunque narrativa strategica legata a OpenAI. Oggi, con questi due modelli open a bordo, cambia il tono della storia. Forse non ancora i numeri, ma sicuramente l’immaginario.
Il vantaggio per OpenAI è chiaro. Avere le proprie creazioni integrate in AWS significa guadagnare terreno in ambito enterprise senza affidarsi esclusivamente a Microsoft. Permette ad Altman di flirtare con il mercato più grande del mondo, di esplorare nuove alleanze senza rinunciare formalmente alle vecchie. Ma soprattutto, gli consente di destabilizzare la mappa geopolitica della cloud AI in un momento di profondo riequilibrio. Mentre Meta inizia a tirare il freno sull’open source e annuncia che i futuri modelli “superintelligenti” non saranno più aperti, OpenAI rilancia. Rilascia due modelli ad alte prestazioni con licenza libera, e li piazza direttamente nel cloud dei giganti.
Altman, con una sola mossa, ridicolizza la narrativa morale di Zuckerberg sull’open source, punge Microsoft in una fase negoziale delicata e salva la faccia ad Amazon nel momento in cui l’intero mercato lo considera in ritardo sull’AI. È una lezione di strategia da manuale. A livello superficiale sembra una concessione tecnica. Ma nel sottotesto è una dichiarazione di guerra: la supremazia nell’AI non si gioca più solo sulla qualità dei modelli, ma sulla loro distribuzione. Sulle pipeline. Sulle alleanze. Sulle API.
La verità? Nessuno scaricherà davvero questi modelli da Hugging Face se può accedervi con tre clic su Bedrock. L’azienda cliente medio non vuole gestire fine-tuning, checkpoint e deployment containerizzati. Vuole cliccare, testare, scalare. AWS ora può offrirlo. E OpenAI può affermare che il suo ecosistema è, di fatto, multi-cloud. In una sola settimana, Altman è riuscito a diventare omnipresente, senza compromettere formalmente la partnership con Microsoft. Un capolavoro tattico.
E se Microsoft pensa che basti l’ottimizzazione per Windows per mantenere il vantaggio competitivo, dovrebbe guardare alla velocità con cui gli equilibri si stanno ridisegnando. Oracle si prende i data center. Amazon si prende l’accesso al mondo enterprise. E Altman, apparentemente, si prende tutto il resto.
In un contesto dove ogni mossa viene osservata da regulator, investitori e competitor con il microscopio, distribuire modelli open via AWS è il tipo di mossa ambigua che incanta. Tecnicamente open, quindi incontestabile. Commercialmente potente, quindi spiazzante. Politicamente spregiudicata, quindi geniale.
Questa è la nuova mappa del potere nell’AI. Altman non sta cercando alleati. Sta scegliendo quali nemici umiliare per primi.