Book: The Cambridge Handbook of the Law, Ethics and Policy of Artificial Intelligence

La panoramica che si può ricavare dall’indice e dalle pagine introduttive del “Cambridge Handbook of the Law, Ethics and Policy of Artificial Intelligence” lascia più domande che risposte, ma proprio questa incompletezza è una buona metafora del nostro rapporto con l’intelligenza artificiale. Un terreno affascinante e instabile, dove diritto, etica e politica si mescolano come ingredienti di un cocktail che deve essere sorseggiato con attenzione ma senza illudersi di averne capito la ricetta. La parola chiave qui è governance dell’IA, un concetto che va ben oltre il semplice controllo tecnico e si addentra nel labirinto della responsabilità, della trasparenza e del potere, ovvero le vere sfide di un mondo che si sta digitalizzando più velocemente di quanto i nostri codici legali riescano a rincorrere.

Si parte da un approccio filosofico ed etico dell’IA, dove “Design for Values” diventa il mantra per chi non vuole limitarsi a programmare macchine intelligenti ma anche a integrare principi di benessere, sicurezza, privacy, equità e trasparenza. Un approccio di facciata? Forse, ma indispensabile per non cadere nell’illusione che l’algoritmo possa essere neutro, cosa che sappiamo essere una pia illusione fin dal primo bias rilevato. Qui si parla di un’etica integrata nel DNA della tecnologia, un’utopia necessaria se vogliamo evitare che l’IA diventi semplicemente uno strumento per perpetuare ingiustizie e disuguaglianze.

Dal piano filosofico si scende a quello giuridico, dove il manuale passa in rassegna la normativa europea, vero e proprio terreno di battaglia per la regolazione dell’IA. Il GDPR non è solo un regolamento sulla privacy ma diventa una pietra miliare nel definire come i dati devono essere trattati, con un’attenzione particolare ai sistemi intelligenti. La responsabilità civile per danni provocati dall’IA non è una questione da poco: chi paga quando un algoritmo sbaglia? La materia è delicata e le risposte sono tutt’altro che scontate, oscillando tra responsabilità del produttore, dell’utente e persino del sistema stesso, che però non può essere “persona giuridica” (almeno per ora).

Interessante anche il focus sul diritto della concorrenza e la protezione dei consumatori, due fronti cruciali in un mercato dominato da pochi big tech che hanno il potere di definire le regole del gioco. Qui la sfida è doppia: evitare monopoli tecnologici e garantire che i consumatori non siano vittime inconsapevoli di manipolazioni algoritmiche o pratiche scorrette. In questo contesto, la proprietà intellettuale assume una dimensione nuova: fino a che punto un’idea può essere brevettata quando a generarla è una macchina? Domande che spingono i confini della legge tradizionale verso territori inesplorati.

L’AI Act dell’Unione Europea è trattato come la punta di diamante degli sforzi regolatori, un tentativo concreto di bilanciare innovazione e tutela dei diritti umani. Il testo si sofferma sulla definizione di modelli di IA per scopi generali (GPAI), un tema caldo perché indica la necessità di trasparenza e documentazione per i fornitori, in un momento in cui gli algoritmi diventano sempre più complessi e meno interpretabili. Una vera e propria sfida per chi deve controllarli, che sia un giudice o un regolatore, e che rende evidente come la trasparenza sia più una corsa contro il tempo che un traguardo acquisito.

Il manuale non si limita al quadro generale ma scende nell’applicazione dell’IA in settori specifici: istruzione, media, sanità, finanza, lavoro, forze dell’ordine. Ognuno di questi ambiti è un laboratorio a sé, dove le sfide legali ed etiche si manifestano in forme diverse. La sorveglianza predittiva nelle forze dell’ordine è forse la più controversa, evocando scenari distopici ma già reali in alcune giurisdizioni. Nell’istruzione o nella sanità, l’IA può essere una risorsa formidabile ma anche una fonte di discriminazione o esclusione, se non gestita con attenzione.

Infine, il libro riflette su temi che vanno oltre la tecnica e la legge, entrando nelle dinamiche di potere e nelle ingiustizie sociali che l’IA può amplificare o, al contrario, mitigare. L’idea di un’“etica dei dati del potere” è rivoluzionaria perché suggerisce di mettere sotto la lente critica non solo i singoli algoritmi ma il sistema che li produce e li controlla. La sostenibilità, infine, non è solo ambientale ma anche sociale: un’IA sostenibile è quella che non sacrifica equità e diritti sull’altare del profitto o della performance.

Non serve ripetere che questo campo è in movimento continuo, quasi un work in progress eterno dove l’incertezza non è un limite ma la condizione stessa del dibattito. Chiunque si avventuri a scrivere di IA, diritto, etica e politica deve fare i conti con questa fluidità, cercando di costruire ponti tra discipline diverse e, soprattutto, mantenendo uno sguardo critico e un atteggiamento provocatorio, perché solo così si può sperare di anticipare le trasformazioni e non subirle.

Curioso che, nel mezzo di tutto questo, il “manuale” si presenti più come una mappa parziale che come una bussola definitiva. Ma forse, in un mondo dove il futuro è tutto da scrivere, non è un male.