Una startup di intelligenza artificiale che si permette di mettere sul tavolo 34,5 miliardi di dollari per comprare Google Chrome, il browser più usato al mondo, sembra la trama di un romanzo cyberpunk più che una notizia reale. Eppure, questa è la mossa audace di Perplexity, un nome ancora poco noto ai più, ma che con questo colpo di scena ha fatto tremare i mercati e scatenato un coro di domande inquietanti: cosa c’è dietro questa offerta? E perché spendere il doppio del valore stimato della stessa startup?

Il contesto è questo. Perplexity, valutata circa 18 miliardi, ha proposto a Google un’acquisizione non richiesta di Chrome, il browser che domina la navigazione globale con una quota di mercato intorno al 65%. Se fino a ieri la concorrenza per i browser si giocava tra velocità, privacy e usabilità, ora è un terreno di scontro per il controllo del motore AI che definirà il futuro dell’interfaccia utente. Google, al momento, non ha mostrato alcun segnale di voler vendere il suo gioiello tecnologico, e il tribunale che sta valutando eventuali azioni antitrust non ha imposto alcuna vendita.

Perplexity non è solo un sogno a occhi aperti. Jesse Dwyer, portavoce della startup, ha confermato la veridicità dell’offerta a The Verge, mentre Dmitry Shevelenko, Chief Business Officer, ha dichiarato a Bloomberg che vari grandi fondi di investimento sono pronti a finanziare completamente l’operazione. La startup è disposta anche a investire oltre 3 miliardi in Chrome e Chromium nei prossimi due anni, in un chiaro segnale che non si tratta di una semplice provocazione ma di un piano ben strutturato per ridefinire il browser come piattaforma AI.

La mossa di Perplexity si inserisce in una strategia che ricorda molto le puntate di un thriller tecnologico. Qualche mese fa, la stessa startup aveva fatto un’offerta per acquistare TikTok, suscitando scalpore per la sua ambizione di accaparrarsi asset digitali di enorme impatto globale. Questo atteggiamento “go big or go home” rivela una sfida aperta a colossi come Google e Meta, in un contesto dove la battaglia per la supremazia dell’intelligenza artificiale si combatte non solo sui dati ma sulla capacità di offrire un’interfaccia utente sempre più intelligente e integrata.

In un mercato dove gli investitori puntano a tecnologie che possano soppiantare i modelli tradizionali di ricerca, la definizione di browser come killer app per l’AI non è affatto campata per aria. Google ha investito miliardi in AI, ma rimane il fatto che il suo browser resta un prodotto legato a un modello di navigazione e raccolta dati che Perplexity vuole superare. Con la sua offerta faraonica, la startup dichiara implicitamente che il valore di Chrome non è solo nel software, ma nel potenziale che ha come piattaforma AI, un potenziale ancora poco esplorato da Big G.

Il salto di valutazione da 18 a 34,5 miliardi riflette la dinamica folle e volatile dei mercati tech dove, se l’intelligenza artificiale diventa la nuova petroliera, possedere il canale attraverso cui passa la maggior parte delle interazioni digitali è una leva di potere ineguagliabile. Certo, la domanda più ovvia rimane: Google accetterà mai? Per ora, le probabilità sembrano remote. Ma proprio come nelle migliori storie di Silicon Valley, non è mai saggio sottovalutare una startup disposta a puntare tutto in una sola mano e con finanziatori pronti a sostenere ogni passo.

Ironia della sorte, in un’epoca dominata dal machine learning e dagli algoritmi predittivi, la posta in gioco si traduce in una partita dove il software che ci fa navigare quotidianamente potrebbe presto diventare l’arma definitiva per conquistare la prossima generazione di utenti digitali. Se Perplexity ce la farà o se questa offerta finirà nel dimenticatoio, non è solo una questione di soldi, ma di visione strategica: chi controlla il browser, controlla la porta d’accesso al futuro.

Se il mondo tech fosse un film, questa sarebbe la scena in cui il piccolo Davide sfida il gigante Golia con una proposta che suona come una follia, ma che ha la forza di una provocazione destinata a riscrivere le regole del gioco. E forse, per la prima volta in decenni, Google si trova dall’altra parte del tavolo a dover fare i conti con un’offerta che, per assurdo, riflette più la paura di essere superata che la certezza di essere invincibile.