Quando Jensen Huang, CEO di Nvidia, ha messo piede a Pechino a luglio, la scena sembrava una rock-star mondiale in tour. Accolto con Tang suit e saluto in mandarino incerto, Huang ha annunciato a media statali cinesi che Washington avrebbe presto concesso le licenze di esportazione per i suoi chip H20. Sembrava l’inizio di un trionfo senza ostacoli. Solo due settimane dopo, l’atmosfera è cambiata. La Cyberspace Administration of China ha convocato i dirigenti di Nvidia per indagare sulla sicurezza dei chip, citando pressioni dei legislatori statunitensi per l’installazione di funzionalità di tracciamento nei processori destinati all’export.

La narrativa della sicurezza dei chip H20 è diventata un terreno minato politico. Beijing non ha trovato backdoor, eppure la prudenza è divenuta obbligatoria: le aziende cinesi iniziano a oscillare tra la fidelizzazione a Nvidia e la ricerca di soluzioni domestiche. Wang Peng del Beijing Academy of Social Sciences non ha dubbi: “Nvidia ha molta strada da fare per ricostruire la propria credibilità attraverso conformità e trasparenza”. Lo stesso pattern si osserva per Apple e Cisco negli anni passati: sospetti di backdoor, erosione della fiducia, e pressione crescente per soluzioni “autonome”.

Il caso H20 dimostra come persino giganti tecnologici globali siano vulnerabili quando la geopolitica incontra la catena di approvvigionamento. Un dirigente di una società di semiconduttori a Shanghai ha confermato che, a seguito del clamore, nuovi clienti domestici hanno preferito soluzioni locali. Nonostante ciò, Nvidia mantiene un ruolo centrale: i processori H20 restano preferiti per compiti di AI inference, soprattutto per la loro compatibilità con CUDA, l’ecosistema di sviluppo software ormai standard.

Le restrizioni USA non aiutano. Anche se Trump ha permesso a Nvidia di vendere alcuni chip a Pechino, l’accordo prevede che il 15 per cento delle entrate delle vendite sia versato al governo statunitense. La licenza H20 è diventata così un vero e proprio strumento di contrattazione commerciale, con la guerra dei dazi e le trattative USA-Cina che proseguono senza un accordo finale. L’analista Chim Lee sottolinea come il destino di H20 dipenda da più fattori: competitività tecnologica dei chip cinesi e evoluzione dei controlli sulle esportazioni USA.

Dal punto di vista operativo, Nvidia ha investito in Cina per più di vent’anni, aprendo uffici a Shanghai, Shenzhen e Pechino, e collaborando con produttori di schede grafiche locali come Galax e Colorful. La strategia ha creato un solido radicamento nell’industria internet cinese, rendendo la società meno politicamente controversa, almeno fino all’era delle restrizioni AI. Con il divieto di vendita H20 imposto dal Commerce Department a aprile, Nvidia ha dovuto contabilizzare miliardi di perdite, anche se la resilienza del magazzino ha mitigato i danni.

Il settore domestico cinese, invece, accelera. Huawei punta a un ecosistema AI autosufficiente, con CloudMatrix 384 e CUDA-like toolkits open source. Cambricon Technologies ha visto il valore delle azioni triplicare a Shanghai, mentre start-up come Suanova stanno costruendo centri di calcolo AI full-stack in collaborazione con università e altre aziende locali. L’obiettivo dichiarato è sostituire Nvidia come fornitore di riferimento, soprattutto nei settori critici sotto controllo statale.

Il mercato AI in Cina si muove tra tecnologia, politica e fiducia. iFlyTek e Qihoo 360 scelgono chip domestici, dichiarando modelli di grandi dimensioni “self-reliant and controllable”. Le aziende statali privilegiano fornitori locali per mitigare rischi geopolitici, e la quota di processori Nvidia nei data centre cinesi cala lentamente. Ancora oggi, Nvidia H20 rappresenta la soluzione preferita per AI training intensivo, ma la pressione politica spinge all’adozione di alternative nazionali.

Washington e Pechino, nel frattempo, giocano una partita a scacchi tecnologica con H20 come pedina. Gli USA cercano di mantenere un vantaggio generazionale senza bloccare del tutto il mercato cinese, mentre Pechino spinge per la completa autonomia dei semiconduttori. La prossima mossa di Trump, secondo analisti, potrebbe includere il permesso di esportare versioni ridotte dei GPU Blackwell, continuando a misurare la forza contrattuale americana.

Il futuro di Nvidia H20 in Cina sarà quindi determinato non solo dalla performance tecnica dei chip, ma dall’evoluzione politica e commerciale tra due superpotenze tecnologiche. Le start-up e i giganti nazionali spingono verso unità e autonomia, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza da Nvidia. Suanova, tra le altre, mostra come il consolidamento di capacità domestiche stia diventando il vero motore della strategia AI cinese. La realtà è chiara: il mercato cinese dell’AI chip non è più solo un’opportunità commerciale, ma un campo di battaglia geopolitico dove tecnologia, fiducia e politica si intrecciano senza vie d’uscita facili.

Il risultato è un ecosistema dove Nvidia H20 domina ancora il training AI ad alta intensità, ma sempre più in bilico tra licenze USA, fiducia cinese e competizione interna. Huawei, Cambricon, Suanova e altre aziende emergenti rappresentano una nuova generazione di fornitori determinati a ridurre la dipendenza dagli USA. Il mercato si muove veloce, e ogni annuncio di Pechino o Washington può modificare radicalmente le dinamiche di adozione dei chip AI in Cina.

La vicenda H20 è quindi un case study in tempo reale su come la geopolitica possa incidere sull’innovazione, la supply chain e la leadership tecnologica globale. Nvidia H20 resta un simbolo di eccellenza tecnica, ma la sfida non è più solo tecnologica: è una partita strategica che combina diplomazia, regolamentazione e competitività industriale in un mercato da trilioni di dollari, dove il vincitore non sarà determinato solo da chi fa i chip più potenti, ma da chi sa giocare meglio tra Washington e Pechino.