Quello che Wang Xingxing mette sul tavolo è la vera linea di faglia che separa la fantascienza dalla produzione di massa: non servono più gambe in carbonio o servomotori da laboratorio NASA, ma cervelli sintetici all’altezza. Il fondatore di Unitree parla chiaro: il “momento ChatGPT” per la robotica non è ancora arrivato. È una constatazione che fa sorridere chi si aspettava un’ondata di androidi a presidiare le nostre cucine entro il 2025, ma anche un avvertimento per chi crede che basti mettere un LLM su un chip per far nascere un robot maggiordomo. La soglia critica dell’intelligenza artificiale incarnata non è una sfumatura tecnica: è il punto in cui un robot smette di essere un telecomando costoso e diventa un agente autonomo in un ambiente non pre-programmato.

La Cina, con la sua filiera produttiva mastodontica, è già seduta in pole position per il giorno in cui quella soglia sarà superata. Il problema, ammette Wang, è che l’AI capace di farlo ancora non esiste. La metafora è quella di Internet negli anni ’90: connessioni rumorose, pagine statiche e zero streaming, ma un’energia latente pronta a deflagrare. La differenza è che qui non si tratta di codice e banda larga, ma di macchine da 60 chili che devono muoversi, capire, decidere e soprattutto non far cadere la nonna sulle scale.
La crescita del settore è accelerata dalla combinazione di spettacolarità e politica industriale. Il ballo sincronizzato dei robot di Unitree alla vigilia del Capodanno lunare ha fatto più per la brand awareness della robotica cinese di mille conferenze accademiche. Non è un caso che Wang sia stato invitato al tavolo ristretto con Xi Jinping: la robotica è diventata una questione strategica nazionale. La definizione ufficiale che circola nei corridoi di Pechino è “embodied intelligence”, ma la sostanza è un ecosistema dove hardware e AI si fondono in prodotti esportabili.
Eppure la frustrazione resta palpabile. Wang si dice sorpreso dalla velocità con cui i robot sono passati a match di pugilato, e questa accelerazione inattesa è un segnale doppio: dimostra che l’evoluzione è possibile a scatti improvvisi, ma evidenzia anche quanto il settore navighi senza roadmap certe. Chi conosce l’innovazione sa che è il momento in cui i venture capitalist oscillano tra euforia e panico. Il nodo vero non è costruire il corpo, ma sviluppare un’intelligenza generale ristretta, adattabile e sicura. È qui che la mancanza di talenti AI in Cina rischia di mordere più forte della concorrenza occidentale.
Il paradosso è che la Cina potrebbe vincere la partita commerciale grazie ai prezzi, pur non avendo ancora la leadership assoluta sull’intelligenza che governerà questi robot.
Gli Stati Uniti detengono ancora un vantaggio sugli algoritmi di frontiera, grazie a un ecosistema di ricerca e venture capital che alimenta modelli linguistici, sistemi di visione e decision making distribuito. L’Europa, pur meno aggressiva nella scala, mantiene nicchie di eccellenza in ambiti come la robotica collaborativa e l’AI etica. La Cina invece sta correndo per colmare il divario, sfruttando il proprio mercato interno come campo di prova, ma è ancora in fase di inseguimento sui modelli di intelligenza artificiale generale applicata alla robotica.
Una strategia da manuale di geopolitica tecnologica: saturare i mercati con hardware competitivo mentre si lavora alla maturazione del software. Ma il rischio, come sempre, è che altri colmino il gap cognitivo prima che il vantaggio produttivo diventi definitivo. Wang è ottimista, parla di due anni per il grande salto, ma aggiunge che etica e sicurezza potrebbero allungare il calendario. Dietro questa cautela c’è un messaggio implicito: il primo vero “momento ChatGPT” della robotica sarà anche il momento in cui si apriranno i dibattiti regolatori più aspri degli ultimi decenni.
Questa tensione tra hype e realtà crea un effetto magnetico per investitori e osservatori. È lo stesso fascino che aveva la corsa allo spazio negli anni ’60: tutti sapevano che mettere piede sulla Luna era possibile, ma nessuno aveva idea di quanti razzi sarebbero esplosi prima. La robotica umanoide, nella sua fase pre-rivoluzionaria, vive della stessa energia. Le dimostrazioni al World Robot Conference di Pechino, tra combattimenti e performance coordinate, sono vetrine tecnologiche ma anche stress test psicologici per il pubblico. Il messaggio subliminale è chiaro: se i robot oggi ballano e boxano, domani potranno fare molto di più.
La vera variabile sarà l’accettazione sociale. Non basta che un robot sappia lavorare in luoghi mai visti prima, deve anche essere tollerato nelle nostre case e nei nostri spazi pubblici. È qui che l’AI incontra la cultura, ed è un incrocio pericoloso. La tecnologia potrà fare il salto in due anni, ma la mentalità collettiva richiederà forse una generazione. Wang lo sa, per questo invoca una mentalità aperta e la fiducia nel futuro come “la forma più grande di supporto”. Un invito che suona tanto come una dichiarazione strategica quanto come un promemoria al governo e agli investitori: la rivoluzione non arriverà per decreto, ma per convergenza di capacità tecniche, convenienza
Per completezza delle fonti principali utilizzate per ogni voce, ecco i riferimenti chiave: RT-2 e RoboCat di Google DeepMind, documentati nei rispettivi paper e blog tecnici.Open X-Embodiment e RT-X come base dati e famiglia di politiche generaliste multi-robot. PaLM-E come modello embodied multimodale. Octo come politica generalista open-source presentata da TRI. π0 come VLA basato su flow matching per controllo robotico generale. AutoRT per il data flywheel embodied su larga scala. Mobile ALOHA e ALOHA Unleashed per destrezza bimanuale e ricette dati+modelli. Covariant RFM-1 come Robotics Foundation Model multimodale. NVIDIA Isaac GR00T N1 come foundation model VLA open e personalizzabile per umanoidi. Gemini Robotics On-Device come estensione VLA di Gemini per esecuzione a bordo del robot. Gato come agente generalista multi-embodiment con controllo robotico tra i task.

Quello che Pechino ha appena fatto con il Robot Mall non è semplicemente aprire un negozio, ma mettere in vetrina un manifesto geopolitico. In un Paese dove l’innovazione tecnologica è sempre stata un braccio armato della strategia industriale nazionale, inaugurare il primo centro full-service al mondo dedicato ai robot umanoidi durante la World Robot Conference è un messaggio diretto a Silicon Valley, Tokyo e Berlino: la partita sull’automazione non è più laboratorio, è retail.
Il modello è quello delle concessionarie automobilistiche 4S, ma qui non si vendono SUV o berline ibride, si vendono compagni di lavoro in titanio e silicio, pronti a fare di tutto, dal ballare la danza del leone al giocare una partita di calcio contro un ragazzino annoiato. L’effetto scenico è voluto: dimostrare che l’hardware è già pronto e che la parte difficile ora è solo convincere le masse a fidarsi.
Il mercato cinese della robotica cresce a un ritmo del 23 per cento annuo e, secondo Morgan Stanley, passerà dai 47 miliardi di dollari del 2024 ai 108 miliardi nel 2028. In gergo da sala riunioni, questo significa che la Cina non vuole più essere solo “la fabbrica del mondo”, ma “il cervello del mondo”, controllando l’intera catena del valore dell’automazione. In un ecosistema dove Unitree Robotics, UBTech e una pletora di marchi meno noti ma aggressivi competono con un approccio quasi darwiniano, il Robot Mall funziona anche come vetrina permanente, showroom e laboratorio di customer adoption. Qui il cliente non legge brochure, ma tocca, interagisce, testa. L’esperienza d’acquisto diventa teatro di persuasione industriale.
C’è una sottile ma precisa strategia: abbassare la barriera psicologica tra umano e umanoide. Non basta dimostrare che un robot può muoversi come un calciatore o danzare come un artista di strada, bisogna farlo in un contesto commerciale dove la transazione è immediata. Questa è la differenza tra la fiera di settore e il punto vendita stabile. Non si tratta di marketing tradizionale, ma di educazione progressiva al futuro. Chi entra al Robot Mall non vede prototipi, vede già prodotti scalabili, frutto di una transizione accelerata dalla R&D alla produzione di massa, spinta da AI sempre più sofisticate e investimenti pubblici massicci.
I numeri parlano chiaro: Unitree e AgiBot avevano fissato l’obiettivo di produrre oltre mille unità ciascuna già nel 2024 e stanno mantenendo il ritmo. Nel frattempo, i capitali scorrono veloci. Galaxea AI ha incassato oltre 100 milioni di dollari a luglio, mentre Unitree sta preparando una IPO entro dicembre. La logica è evidente: in un mercato destinato a esplodere, chi controlla la capacità produttiva oggi controlla i margini di domani. Non sorprende che Pechino incentivi un’accelerazione quasi brutale della commercializzazione, con la stessa determinazione con cui ha spinto i veicoli elettrici o il 5G.
La World Robot Conference è la passerella ideale per questo teatro industriale. Con oltre 1.500 prodotti e 200 aziende, tra cui un record di produttori di umanoidi, la manifestazione non è solo un salone tecnologico, ma un’arena diplomatica dove si giocano alleanze e investimenti. L’arrivo di più di 400 esperti, inclusa la figura schiva di Wang Xingxing di Unitree, è un segnale che il settore non è più nicchia per ingegneri, ma terreno di scontro tra capitali e visioni di lungo periodo.
La mossa del Robot Mall si inserisce in una narrativa più ampia, in cui la Cina sta trasformando l’intelligenza artificiale in un prodotto tangibile e, soprattutto, in un’abitudine quotidiana. Ogni dimostrazione pubblica di un robot che serve un caffè o consegna un pacco è una micro-dose di futuro somministrata al consumatore. E più queste esperienze diventano banali, più si consolida l’idea che la presenza dei robot umanoidi non sia un esperimento ma un’infrastruttura sociale in arrivo. Il prossimo passaggio, già scritto tra le righe degli investimenti, sarà la standardizzazione di piattaforme software e hardware in modo da abbattere i costi e creare economie di scala che i competitor occidentali, ancora frammentati, faticheranno a replicare.
Se tutto questo vi ricorda la strategia con cui la Cina ha trasformato l’industria fotovoltaica o quella delle batterie, non è un caso. Il Robot Mall è l’ennesima prova che il Paese utilizza il mercato interno come palestra per dominare il mercato globale. Una partita che, a giudicare dai numeri, sta già vincendo.