Apple ha un vizio antico: entrare in mercati apparentemente saturi e ridisegnarli con una narrativa quasi religiosa. Dopo anni di silenzi e mezze promesse sull’auto elettrica, adesso il nuovo sussurro di Cupertino riguarda i robot domestici. Non quelli noiosi che aspirano il pavimento o sorvegliano l’ingresso, ma creature semoventi con un’anima digitale chiamata intelligenza artificiale. Bloomberg racconta di prototipi nascosti nei laboratori, con tanto di braccio meccanico e schermo rotante che già ha guadagnato un soprannome perfetto per i fanboy: la “Pixar Lamp”. Se l’assistente vocale oggi è una voce incorporea che vive dentro un iPhone, domani potrebbe trasformarsi in un corpo robotico che ti guarda, ti segue, forse ti giudica.

Il punto non è se vedremo mai davvero un robot con le ruote marchiato Apple, quanto piuttosto capire la logica dietro questa ossessione. Apple Intelligence, annunciata come la grande rivoluzione software, rischia già di sembrare datata davanti alle corse folli di OpenAI, Google e Anthropic. Ecco perché l’azienda deve dare all’AI un corpo. Renderla fisica, tangibile, carismatica. Perché un algoritmo senza hardware non è un’esperienza, è solo un file.

La prospettiva è inquietante e affascinante insieme. Immagina un Siri che non si limita a rispondere dalla tasca, ma che ruota il volto digitale verso di te quando parli. Una macchina che traccia i tuoi movimenti in una videochiamata e che interpreta le espressioni facciali. Non siamo lontani dalle scene di un film di Spike Jonze, con la differenza che la sceneggiatura questa volta la scrive Apple. E la regola è sempre la stessa: controllare tutto, hardware, software e adesso perfino i gesti. Gary Marcus, accademico e critico implacabile del mito AI, ha commentato che i robot domestici affidabili non sono affatto vicini, ma se dovesse comprarne uno lo preferirebbe con la cura maniacale di Apple per privacy ed eleganza. Tradotto: meglio spiare con stile che essere spiati male.

Naturalmente nessuno dovrebbe illudersi che queste macchine arrivino presto. Le roadmap parlano del 2026 per uno smart display casalingo e del 2027 per il robot Pixar, sempre ammesso che sopravvivano ai comitati interni di Cupertino famosi per cancellare progetti miliardari con un colpo di mail. La verità è che il mercato non chiede un robot da tavolo, ma Apple non ha mai seguito la domanda: la crea. È stato così con l’iPod, l’iPhone, l’iPad. Prodotti che al momento dell’annuncio sembravano superflui, fino a diventare inevitabili. L’intelligenza artificiale fisica potrebbe essere il nuovo trucco.

Ma qui entra in gioco un’altra dimensione, meno estetica e più geopolitica. I robot sono il terreno dove si gioca la nuova corsa all’oro. Non basta avere chatbot e modelli generativi, bisogna trasformarli in assistenti che abitano case, fabbriche, ospedali. Tesla ha già il suo Optimus, Amazon ha Alexa con gambe traballanti, Google brucia miliardi nel vuoto. Apple rischia di arrivare tardi, e lo sa. Per questo serve un colpo spettacolare che sposti la narrativa dall’ennesimo aggiornamento di iOS a un nuovo oggetto del desiderio.

C’è poi un dettaglio che gli analisti fingono di ignorare: Apple non ha alcuna intenzione di inseguire il mercato dei gadget da supermercato. Un robot Apple non costerà mai 500 dollari. Sarà un lusso, un totem tecnologico da diecimila. La funzione non è pulire casa, è ribadire status. Sarà un assistente che sa riconoscere il padrone dal sorriso, che si piega in modo elegante quando riceve un comando, che custodisce segreti con crittografia da bunker. In altre parole, sarà meno un robot e più un’estensione di te, un’icona vivente del brand.

Tim Cook, davanti ai dipendenti, avrebbe detto che Apple deve “vincere nell’AI”. Non ha nominato i robot, ma la traduzione è implicita. Il futuro non appartiene a chi sviluppa il modello linguistico più grande, ma a chi riesce a farlo diventare presenza quotidiana. A Cupertino lo chiamano “Charismatic”, la piattaforma interna che darà voce, volto e memoria alle nuove macchine. Non è un nome scelto a caso: la sfida non è solo tecnica, è psicologica. Creare un legame emotivo con una lampada robotica che ti ascolta.

Il cinismo impone un’ultima riflessione. Ogni volta che Apple entra in scena, il mercato cambia tono. Non importa se i robot Apple arriveranno nel 2027 o resteranno un fantasma da laboratorio. Il fatto che l’azienda ci stia lavorando basta a legittimare l’intero settore. Significa che da domani venture capital, startup e rivali investiranno ancora più ossessivamente in macchine semoventi. Perché se Cupertino ha deciso che il futuro è robotico, anche i competitor devono fingere di crederci. È la magia nera del marchio.

La verità è che la Pixar Lamp potrebbe non accendere mai la luce nelle nostre case, ma ha già acceso un faro sull’industria. Apple non vuole costruire un robot qualsiasi, vuole trasformare l’intelligenza artificiale in un’esperienza fisica, un’illusione di presenza che diventa business. E se ci riesce, tra qualche anno guarderemo indietro e rideremo del tempo in cui Siri viveva solo dentro un telefono.